Roma ha ritrovato un suo scrigno di bellezza. E davvero altro non può essere la casa-museo di Mario Praz, che ha riaperto i battenti – presente il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e il Direttore generale dei Musei Massimo Osanna - dopo un lungo lavoro di restauro coordinato dalla direttrice del museo Francesca Condò. Una cura e un’attenzione dovuta per una dimora che non molti conoscono. Eppure è un tutt’uno con il Museo Napoleonico. Ed è il paradigma della raffinatezza del suo abitante, nonché della Capitale tra la fine dell’Ottocento e il Novecento.
Mario Praz è stato un intellettuale singolare. E un personaggio affascinante. Illustre anglista (titolare di cattedra alla Sapienza di Roma) e critico d’arte e letteratura. Autore di saggi diventati pietre angolari del sapere. E custode geloso della propria dimora, al terzo piano di un palazzo in faccia al Tevere che fu dell’eclettico conte Giuseppe Primoli, nobiluomo imparentato con i Bonaparte e magister elegantiarum del primo Novecento nonché fotografo versatile nei reportage di città e ambienti mondani. Il nobiluomo dispose che alla propria morte (avvenuta nel 1927) l’edificio ad angolo tra il lungotevere e via Zanardelli divenisse la sede della Fondazione Primoli, che vanta una biblioteca di 50 mila volumi, mentre il piano terra sarebbe stato trasformato - con i suoi quadri, mobili, arredi, abiti, documenti - in un Museo Napoleonico amministrato dal Comune.
Insomma, varcare la soglia di Palazzo Primoli vuol dire tuffarsi nella Roma francesizzante e poi dannunziana (il Vate era tra i più assidui ospiti del salotto di Primoli, insieme con Verga, la Serao, Eleonora Duse e, provenienti d’oltralpe, Maupassant, Bourget, Dumas figlio, Sarah Bernhardt). Una Roma crepuscolare, “bizantina”, estetizzante, votata alla ricerca spasmodica del raro, del prezioso, dell’antico. Sia Gegè Primoli, come lo chiamava confidenzialmente D’Annunzio, che Mario Praz furono accaniti collezionisti. Il che spiega anche perché l’anglista fu chiamato, nel 1958, a dirigere la Fondazione Primoli. Sicché appunto abitò al terzo piano del palazzo dal 1968 al 1982, l’anno nel quale morì.
Anche lui fece un regalo all’istituzione che aveva presieduto: così alle cinquecentine, agli incunaboli, ai testi di letteratura francese, ai libri di viaggio e ai volumi del Fondo Stendhal, molti postillati dallo scrittore stesso, si unirono i 19 mila volumi di Praz, con edizioni rare dal ‘500 all’800 e raccolte di emblemi.
Dunque, se visitare un museo (e qui di musei ce ne sono due, oltre alla magnetica biblioteca) è ora percepito nel senso di “fare un’esperienza”, il che vuol dire anche emozionarsi, a Palazzo Primoli davvero si palpita nel passato, lo si respira, e perciò lo si comprende. Così finalmente si può varcare l’abitazione del magico appartamento (visite guidate dalle 9 alle 18 eccetto il martedì per gruppi al massimo di dodici persone, durata 45 minuti, ingresso gratuito, prenotazione obbligatoria nell’app Musei Italiani oppure sul portale www.museiitaliani.it). Il primo colpo d’occhio lo offrono le ovattate sale della biblioteca, che nelle boiseries degli scaffali ospitano nobili volumi ma anche sculture e vedute di Roma sparita. Si squaderna subito l’universo del collezionista. E le scoperte si affastellano di ambiente in ambiente, sussurrando un’ode alla bellezza.
Il Professore fu un tutt’uno con questa abitazione, che contiene gli oggetti radunati negli anni, durante i viaggi, i soggiorni di lavoro, gli expertise. Al punto che uno dei suoi più coinvolgenti libri (a parte il fondamentale “La carne, la morte, il diavolo nella letteratura romantica”) si intitola “La casa della vita” . Fu grazie a questa opera, recentemente ripubblicata da Adelphi, che quando lo Stato acquistò dagli eredi Praz la sua collezione pagandola due miliardi e cento milioni di lire si sono potuti allestire nuovamente i dieci ambienti dell’appartamento così com’erano quando lo studioso li abitava. E li “abita”, stando a certe suggestioni riportate da qualche guida che avverte: le coltri del letto ben distese la sera si ritrovano smosse la mattina…Voci, alimentate dall’aura demoniaca che il personaggio emanava, anche in virtù dei temi indagati. E dalla sua nomea di menagramo, alimentata forse dall’invidia dei colleghi e che il Nostro si divertiva a sfruttare, un po’ per sviare gli impegni mondani, un po’ per ridere dei nemici.
E però entriamoci concentrati e pazienti in questa dimora evocativa che incantò la principessa Margaret di Inghilterra, in visita nel 1973. Sciorina mobili inglesi, bronzi francesi, malachiti russe, cristalli boemi, porcellane tedesche. E poi dipinti, armi, cere, miniature, statue. Una fantasmagoria di 1200 pezzi acquistati sul mercato antiquario nell’arco di sessant’anni. Ma la mole di oggetti riesce a mostrarsi con naturalezza, in virtù proprio della disposizione in una residenza privata come poteva apparire a cavallo tra Otto e Novecento. E infatti, niente cartelli didascalici. Né faretti a illuminarla, o cordoni e paletti per difenderla. Essa si offre in raffinati scorci di interni. Ecco nell’ingresso la libreria appartenuta a D’Annunzio. Ecco nella Galleria, col soffitto neoclassico a cassettoni oro e bianco, una libreria-alcova che incornicia il divano ricamato da Praz e, di fronte, i busti in terracotta della Marchesa d’Elci (con l’acconciatura “en giraffe”) e di Elisa Bonaparte.
Lo studio gioca sui colori verde e rosso e una scala lignea, sormontata da teste di drago e strumenti musicali, conduce al soppalco-biblioteca. La camera nella quale il Professore dormiva ha un letto a baldacchino che fu costruito per Giuseppe Bonaparte. Una poltroncina napoletana ha i braccioli sorretti da cigni, una libreria inglese di legno rosa si fa vanto di due telamoni. Alle pareti occhieggiano dal ritratto di Ugo Foscolo di Fabre, lo stesso riprodotto in tutti i testi scolastici, a una “Scena di conversazione” di Gerard. Il tavolo da pranzo è inglese, la camera di una bimba (ma la figlia di Praz, Lucia, era trentenne quando l’intellettuale si trasferì a Palazzo Primoli) conserva culla e giocattoli d’arte. Altri oggetti sono stati risistemati, recuperandosi dal deposito. Come un tavolino da lavoro della prima metà dell’Ottocento, decorato con ricami, e un genio alato in terracotta, manufatto inglese di inizio Ottocento. Nel bagno poi – sottoposto ad adeguamento impianti – è tornato, sempre proveniente dai depositi, il rubinetto a forma di cigno.
Bellezza e memorie s’affacciano ovunque, ordinate con estro curioso e colto. Parlano ai turisti e ai romani che vogliono ascoltare confidenziali sussurri e non “comizi” per grandi masse.