Il blu, il verde e il rosa. I colori saturi degli scatti del fotografo Guy Bourdin, tra i più grandi maestri dell’obiettivo del secolo scorso, fino al prossimo 31 agosto sono protagonisti di una mostra negli spazi minimali dell’Armani Silos a Milano. A volere e curare personalmente la rassegna, nel 70° anniversario della prima mostra fotografica di Bourdin con lo pseudonimo di Edwin Hallan, a Parigi è stato il signor Armani, che con l’artista francese nato a Parigi nel 1928 e morto nel 1991 condivide lo spirito di libertà e la capacità di osare.
"Bourdin – racconta Giorgio Armani – non seguiva la corrente e non scendeva a compromessi: un tratto nel quale mi riconosco io stesso, credo non ci sia un altro modo per lasciare un segno nell’immaginario collettivo". La pittura e il disegno furono il suo primo amore anche se è stata poi la fotografia a dare a Bourdin la fama che lo ha fatto amare dal mondo della moda. Vogue Paris è stata la testata che più di ogni altra ha pubblicato i suoi servizi, anche se il successo arriverà negli anni Sessanta grazie ad una proficua collaborazione (durata 15 anni) con lo stilista di calzature, Charles Jourdan che ne divenne anche il principale benefattore. E come non ricordare le campagne pubblicitarie realizzate da questo talento per marchi internazionali come Versace e Chanel, per citarne alcuni.
Le sue immagini, cento scatti a colori con una selezione in bianco e nero, si muovono ora sulle pareti del Silos in un’alternanza o sequenza quasi cinematografica, arte cara al fotografo proprio come al signor Armani, per raccontare l’estetica quasi provocatoria di un artista che assieme a nomi come Horvat, Avedon, Newton ha rappresentato il Novecento e una delle sue forme di espressione chiave, la moda, in modo nuovo.
"Bourdin – racconta Giorgio Armani – non seguiva la corrente e non scendeva a compromessi: un tratto nel quale mi riconosco io stesso, credo non ci sia un altro modo per lasciare un segno nell’immaginario collettivo"
Le sue fotografie non sempre sono di facile lettura. I protagonisti sono corpi o sezioni di essi, mani chi si intrecciano, gambe che spariscono o si fondono con oggetti misteriosi. Spesso i corpi non sono reali ma manichini e il risultato finale dello scatto evoca in chi guarda una dimensione altra dalla semplice rappresentazione didascalica, quasi straniante. Tratto distintivo della rassegna è poi l’uso dei colori saturi capaci di costruire nelle scene misteriose di Bourdin atmosfere sospese, metafisiche, ma dal forte impatto emotivo che, c’è da credere, sarebbero piaciute ad Alfred Hitchcock.
La mostra inizia con il video Guy Bourdin: Fragments, proiettato all’ingresso. Si tratta di un montaggio di Ezra Petronio realizzato nel 2020 con filmati che raccontano momenti privati e lavorativi di Bourdin, in cui il fotografo a volte riprende e altre è ripreso. Successivamente si sviluppa in 9 celle – senza una suddivisione netta dei temi – per un totale di cento fotografie che coprono un arco temporale che va dal 1965 al 1986. In alcune sezioni predominano alcuni colori (come il rosso, il verde o il rosa); in altre emergono le diverse fonti d’ispirazione del fotografo, come per esempio il surrealismo, le scene del crimine e il cinema, soprattutto noir. La mostra si chiude con l’ultima cella dove sono esposte solo fotografie in bianco e nero, realizzate per Vogue Paris e British Vogue.