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9 ottobre 2024,
di Susanna Bonini

Il caso di Giovanni da Verrazzano

Sono decine, per non dire centinaia, i nomi (italianissimi) di artisti, esploratori, politici, scienziati, letterati, sportivi e finanche criminali che hanno contribuito in qualche modo a fare l’America. Un’enciclopedia probabilmente partirebbe dal più noto, il genovese Cristoforo Colombo, scopritore del Nuovo Mondo, per restituirci nomi di personaggi come l’illuminista Filippo (Philip) Mazzei, amico di Thomas Jefferson, che ispirò la frase-pilastro della Costituzione statunitense “All men are created equal” sull’uguaglianza per nascita di tutti gli uomini.

 

Alla voce “Italiani che hanno fatto grande l’America” comparirebbero, fra gli altri, inventori come Antonio Meucci e Franco Modigliani, politici come Fiorello La Guardia oppure brillanti imprenditori come i Jacuzzi della celeberrima vasca idromassaggio. Con le stelle dello sport – Jack LaMotta e Joe di Maggio – ritroveremmo anche una sfilza di attori e registi, fino ad arrivare ad alcune delle pop star internazionali più note, saggiamente mimetizzate da accattivanti pseudonimi: Jon Bon Jovi, Frank Sinatra, Tony Bennet, Dean Martin, Liza Minnelli e poi Springsteen, Madonna e Lady Gaga.

 

La lista non potrebbe che essere parziale perché tener conto degli italiani o degli italoamericani che, dalla scoperta del Continente ai giorni nostri, hanno lasciato un’importante traccia Oltreoceano sarebbe obiettivamente velleitario. Colpisce tuttavia il fatto che una ricerca di questo tipo condotta oggi, nel nostro Paese, non ci restituisca immediatamente il nome di Giovanni da Verrazzano, navigatore ed esploratore d’epoca rinascimentale. Un nome legato a doppio filo alla storia statunitense e alla sua metropoli più iconica, New York City, le cui incredibili scoperte, stranamente, sono tuttora più conosciute e celebrate in America che da noi.

 

Cresciuto nella Firenze medicea, Giovanni da Verrazzano, per una serie di sfortunate coincidenze, è meno famoso dei colleghi Cristoforo Colombo, Amerigo Vespucci e Giovanni Caboto. Eppure, le sue imprese navali – fra tutte la prima perlustrazione via mare nel 1524 della costa atlantica settentrionale, dall’odierna Cape Fear, al largo della Florida, al Maine – furono di grandissima importanza.

Da Verrazzano fu il primo europeo a risalire, con l’unica nave scampata a una rovinosa tempesta, la baia del fiume Hudson fino all’odierna New York. Dobbiamo a lui anche lo sviluppo di una geografia attenta all’antropologia sociale, il perfezionamento della moderna cartografia e il taccuino di viaggio, strumento che torna in auge per tener traccia delle perlustrazioni arricchendole con schizzi a mano ed annotazioni personali. Esercizio in cui l’esploratore toscano, straordinariamente colto e curioso, eccelleva. Per rendersene conto basta leggere “Del Viaggio del Verrazzano Nobile Fiorentino al Servizio di Francesco I”, manoscritto inviato nel 1524, dopo la sua prima traversata, al sovrano francese, il committente dell’impresa.

 

… trovammo un sito ameno, posto tra due piccoli colli eminenti,

in mezzo de quali correva al mare una grandissima riviera,

la quale dentro la foce era profonda…

 

Da Verrazzano stava solcando il fiume Hudson, la grandissima riviera, al largo dell’isola di Manhattan, non lontano da Liberty Island dove oggi si erge la Statua della Libertà. Vestiti con penne di uccelli di vari colori, gli indigeni, che il navigatore scorge sulle coste e descrive nei dettagli, ci venivano incontro con gioia, emettendo forti grida di meraviglia e qui trovammo una bellissima insenatura...”

 

La sua epopea tra le due sponde dell’Atlantico si sarebbe conclusa in modo drammatico già nel 1528, alle Bahamas, durante il terzo viaggio nel Nuovo Mondo. Secondo le poche e confuse fonti disponibili, da Verrazzano fu catturato e fatto a pezzi da tribù di cannibali. Neppure Francesco I di Francia, probabilmente, venne mai a conoscenza del fatto: distratto dalla costosa e logorante rivalità con l’imperatore Carlo V, il sovrano francese in quegli anni era impegnato nelle sue guerre in Italia, mentre le casse del regno languivano.

 

 

Tanti nobili fiorentini attesero a lungo l’intrepido concittadino. Primo fra tutti il banchiere Antonio Gondi, che aveva reso possibile quell’esosa spedizione finanziandola con un prestito di 700 scudi e poi intercedendo presso la corte francese per ottenere la non scontata approvazione del viaggio. I suoi diretti discendenti, i marchesi Bernardo e Vittoria Gondi, assicurano che il banco non rivide più uno scudo. E neppure l’oro e i preziosi che sicuramente il navigatore avrebbe riportato a casa. Il sogno di ricchezza e fama imperitura, per da Verrazzano e per chi lo aiutò, sarebbe rimasto tale per secoli. Un segreto gelosamente custodito tra le mura di Greve in Chianti, dove secondo alcune fonti nacque il da Verrazzano, e quelle di Palazzo Gondi dove, negli archivi di famiglia, pochi anni fa un attento filologo, Marco Calafati, ha messo mano sul documento originale che certifica il prestito effettivamente accordato nel 1523 al navigatore.

La straordinaria avventura di Giovanni da Verrazzano al di fuori del capoluogo toscano cadde velocemente nell’oblio: dei suoi preziosi resoconti, scritti con dovizia di particolari e intervallati da minuziose mappature, saranno altri esploratori al soldo di altri sovrani, in altri tempi, a trarre benefici e gloria. Anche per questo, hanno avuto un’insolita eco, i festeggiamenti del 17 aprile 2024, il Cinquecentenario della prima perlustrazione della baia del fiume Hudson, l’area dove avrebbe cominciato a svilupparsi tre secoli dopo la capitale globale che tutti noi conosciamo.

 

 

I newyorkesi quotidianamente fanno i conti con la vera storia della loro città anche solo guardando da lontano il Verrazzano Narrows Bridge, che si staglia all’orizzonte e collega Brooklyn e Staten Island. Visibile da numerosi quartieri, i residenti continuano a chiamarlo confidenzialmente “The Verazano”, pronunciando il nome semplicemente con una ‘z’ benché la grafia sia stata corretta per legge, nel 2018, dopo una dura battaglia portata avanti dalla comunità italoamericana. Questo capolavoro d’ingegneria e progettazione degli anni ’60 mantenne il suo primato di “ponte sospeso più lungo del mondo” fino al 1981. Qui parte, ogni novembre, la famosa maratona di New York. Qui sono state girate alcune scene cult di film indimenticabili come “La febbre del sabato sera”, “I soliti sospetti” e “West Side Story”.

 

In occasione dei cinquecento anni dal suo arrivo nella baia di New York, la Rai ha voluto giustamente pareggiare un pochino i conti con il navigatore toscano dimenticato trasmettendo un docu-film (“Giovanni da Verrazzano – Dal Rinascimento a New York City”, oggi su Rai Play) prodotto da Rai Documentari, diretto e scritto da Alan Friedman con Giuseppe Pedersoli, figlio dell’attore Carlo, in arte Bud Spencer, il cui nipote Carlo jr. interpreta Giovanni da Verrazzano. Questo tardivo e meritato riconoscimento è stato presentato in anteprima al Paley Center di New York, in occasione del Verrazzano Day, lo scorso 17 aprile e, successivamente, a Palazzo Vecchio.

 

La pellicola, scandita da numerose interviste e dalla riproposizione di documenti originali, offre finalmente un’accurata ricostruzione storica in forma di fiction che, non a caso, inizia e termina con le immagini del famoso ponte sospeso. Resta il fatto, sicuramente difficile da digerire per i fiorentini, che Giovanni da Verrazzano per troppi secoli è stato vittima suo malgrado di una sorta di “cold case”: forse l’Hudson oggi avrebbe potuto chiamarsi Verrazzano River, l’antica Waal Straat (oggi Wall Street) probabilmente non sarebbe mai esistita e Nuova Amsterdam (la New York fondata dagli olandesi) avrebbe tranquillamente potuto chiamarsi Nuova Fiorenza.

 

 

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