Lo sapevate che per realizzare un ombrello servono fino a 110 passaggi? Oppure che a un merletto, di quelli tradizionali e inimitabili di Burano, lavorano 7 diverse ricamatrici, ognuna specializzata in una singola fase, dalla ‘rete’ alla ‘guipure’, dal ‘rilievo’ alle ‘unioni’. Questi e altri tesori del made in Italy si potranno scoprire in un fine settimana speciale, quello del 22 e 23 ottobre, in occasione di ApritiModa, l’evento ideato dalla giornalista Cinzia Sasso, in cui atelier e maison famose nel mondo, ma anche sartorie teatrali e piccoli laboratori artigianali di passamanerie e nastri, aprono le porte al pubblico.
Un’incursione dietro le quinte del ‘bello e ben fatto’ dove nascono le creazioni che hanno reso l’Italia la patria del lusso: “qui viene prodotto il 70% di quello mondiale”, ha osservato il presidente della Camera della Moda, Carlo Capasa. Sono 100 i ‘luoghi’ che si possono visitare gratuitamente, dal Piemonte alla Sicilia, prenotandosi sul sito della manifestazione. D’altra parte si sa che ogni regione ha le sue peculiarità, le sue tradizioni, tramandate di generazione in generazione, che ancora resistono anche se a volte un po’ a fatica: si rischia che alcuni mestieri spariscano per mancanza di manodopera. Ma forse, dopo aver respirato il fascino di questi laboratori, fare il sarto o il guantaio “sarà più attrattivo”. “Vorrei che accadesse come per il cuoco dopo Masterchef – è la speranza di Sasso –. Prima non voleva farlo nessuno, adesso anche chi ha una laurea non disdegna i fornelli, anzi”. Ma torniamo nel magico mondo della creatività e vediamo dove ci porta questo viaggio.
La scelta è vasta, per tutti i palati. Alcuni nomi non possono non catturare subito l’attenzione e far brillare gli occhi: Armani, Curiel, Zegna, Dolce & Gabbana, Cucinelli, Cerruti, Borsalino. Tutti ‘aprono le loro porte’. In via Borgonuovo a Milano si possono visitare i saloni del Seicento, affrescati, dove Giorgio Armani riceve le clienti e presenta le collezioni di alta moda. Mentre a Firenze, sul Lungarno Guicciardini, si entra nel regno di Enrico Coveri. In uno dei palazzi che erano dei Medici, spingi il portone ed ecco una chiesa sconsacrata, trasformata in galleria d’arte. Nel palazzo, che è lo stesso in cui abitò lo stilista, c’è anche la sartoria dove ancora oggi le sarte cuciono le paillettes. Proprio come nel 1977, quando Le Figarò scrisse: “Le paillettes stanno a Coveri come le catene stanno a Chanel”. E, parlando di ricami preziosi, il pensiero non può non volare di nuovo a Milano, al laboratorio di Pino Grasso, adesso gestito dalla figlia Raffaella. Qui cristalli Swarovski, corallo, paillettes, ma anche legno, plastica, semi, terracotta hanno impreziosito gli abiti dei marchi più importanti dell’alta moda, non solo italiana.
Atelier e maison famose nel mondo, sartorie teatrali e piccoli laboratori artigianali di passamanerie e nastri, aprono le porte al pubblico
La bachelite per Dior, il plexiglass per D&G, Bottega Veneta e Mila Schön, la crinolina per Armani. Per la lana pregiata si va da Ermenegildo Zegna, nel Biellese, che con la ‘Casa’, ‘l’Oasi’ e la mostra permanente “From Sheep to Shop” racconta oltre 100 anni di un’impresa familiare impegnata, da quattro generazioni, nel cachemire di alta qualità. Viene da chiedersi come mai a Biella si concentrino tante realtà imprenditoriali del lusso. Vi sveliamo il segreto: è l’acqua, quella purissima di due torrenti, Cervo e Sessera, affluenti del Sesia, ideale per la lavorazione della lana. E lo sanno bene anche al Cappellificio Cervo, di Sagliano Micca (BI) che porta proprio il nome del torrente dall’acqua cristallina, utilizzata per produrre i cappelli. Dal 1897, quando nasce la Cooperativa di operai cappellai, in questa tipica fabbrica ottocentesca, con i capannoni e la ciminiera che svetta, il procedimento rigorosamente manuale è rimasto lo stesso. Nell’archivio sono esposte 656 forme per cappelli in legno, 431 in metallo e 392 ricette per altrettante tonalità di colore. Tra le proposte spicca quella per gli alpini. E’ dal 1898 che il Cappellificio Cervo è il produttore ufficiale e unico depositario del cappello dell’Ufficiale Alpino Super Bantam, tutto in pelo di coniglio, di quel tipico colore melangiato grigio/verde.Il bello di questo ‘viaggio’ tra i tesori italiani sono proprio le storie di padri, nonni e bisnonni, che si celano dietro ai successi di oggi, quelle che raccontano la lungimiranza, ma anche la fatica di chi ha iniziato a metterci impegno e creatività. Come avvenne per le ‘furlane’, le scarpe di tendenza un tempo prodotte dalle donne utilizzando pezzi di stoffe di risulta cuciti a mano.
Oggi la suola, originariamente fatta di pezze ottenute da vecchi indumenti, è più robusta grazie all’uso dei copertoni di bicicletta, e la juta dei sacchi ha reso più morbida l’imbottitura della suola stessa. A Gonars le produce artigianalmente Lis Furlanis. Qui, ogni “scarpez” è un pezzo unico e nessuna furlana è uguale all’altra. Le celebrità, come George Clooney, amano la versione in velluto color porpora, blu notte o verde foresta, usata dai gondolieri veneziani. E se vi trovate nella laguna più famosa del mondo, fate un giro in Fondamenta della Misericordia, nel mezzo del sestiere di Cannaregio. Lì si trova la fucina del Carnevale di Venezia: l’Atelier di Stefano Nicolao, dove si disegnano i costumi di scena più rinomati. La sua storia inizia sul palcoscenico come attore, per poi passare dietro le quinte abbracciando la passione per la sartoria. Oggi possiede un repertorio di oltre 15 mila costumi ed accessori, realizzati con tessuti e lavorazioni pregiate, commissionati per le produzioni cinematografiche e lirico-teatrali, dai teatri di tutto il mondo.
Un capitolo a parte meriterebbe la fucina dei sarti napoletani, abilissimi con ago, filo e metro. Una maestria che ha origini antiche. Per dare un’idea: era il 1351 quando, per rispondere alle richieste di sfarzo della capitale del Regno delle due Sicilie, nella chiesa di S. Eligio al Mercato, si fondò la ‘Confraternita dei Sartori’. Camicie, cravatte, ma anche scarpe artigianali e tutti i prodotti in pelle, dalle borse ai guanti. Quelli della famiglia Squillace si difendono bene dal 1923 e, dal laboratorio Omega nel Rione Sanità, sono arrivati a conquistare la Fifth Avenue di New York.
Il metodo non è cambiato nel tempo: per realizzare un guanto come si deve, servono ancora 25 passaggi. Una qualità che si riflette nella selezione delle pelli “pieno fiore”, tinte per immersione plongé e tagliate a mano per garantire la ‘calzata’ del guanto. In questo pellegrinaggio tra i segreti della moda e dell’eccellenza artigianale italiana una costante salta all’occhio: per un prodotto buono e di qualità serve ‘tempo’, ci sono numerose fasi, controlli e verifiche. Deve essere perfetto e possibilmente durare. Come gli ombrelli di Francesco Maglia, realizzati su misura, che possono arrivare anche a 50 anni e se si rompono vengono riparati. Nel suo laboratorio in via Ripamonti a Milano, una vecchia tipografia riconvertita, ospita il segreto di sei generazioni di famiglia, quello degli ombrellai. Qui si è circondati da tutti gli elementi che compongono l’ombrello perfetto, che richiede dai 70 ai 110 passaggi: dalle stecche che devono rispondere all’elasticità del polso, alle oltre 25 tipologie di legno per l’impugnatura, dal castagno alla ginestra, fino alle corna di cervo.
Per un prodotto buono e di qualità serve tempo, ci sono numerose fasi, controlli e verifiche
Dopo aver preso le misure del cliente, scelto l’impugnatura e il modello, si passa al disegno su carta e al tessuto. Ce ne sono circa 350 pronti al taglio, più i cataloghi con 3mila varianti. Regimental, rigati e gessati, classici scozzesi, a ognuno il suo. Dopo la cucitura a mano e prima dello stiro, ogni millimetro di stoffa viene controllato attraverso la specula. Poi si passa alla scorrevolezza delle parti meccaniche, al dettaglio del puntale, all’ovale di metallo con il nome del futuro proprietario. E dopo questo, addio ombrellino pieghevole che duravi il tempo di una pioggia.