Palazzo Venezia visto da vicino
Una nuova occasione per vedere da vicino, come con un binocolo da teatro, pitture e architetture che fanno il vanto del Bel Paese e insieme raccontano la Storia. Si restaura Palazzo Venezia, nel cuore della Capitale più visitata, ed ecco che per cinque sabati si possono effettuare visite guidate e gratuite che comprendono l’”arrampicata” sui ponteggi fino ad arrivare ai soffitti delle sale.
L’iniziativa del VIVE – l’acronimo efficace di Vittoriano e Palazzo Venezia – diretto da Edith Gabrielli si aggancia ai lavori di realizzazione della nuova Stazione Venezia della Linea C della Metropolitana. Gli interventi di consolidamento strutturale del quattrocentesco edificio prevedono infatti anche il restauro dell’Appartamento Barbo.
Sono le sette sale più antiche del Palazzo, quelle del primo piano che affacciano su piazza Venezia, gioiello del Rinascimento realizzato su committenza del cardinale veneziano Pietro Barbo, che diverrà pontefice con il nome di Paolo II. Qui il potente porporato custodiva la propria collezione di glittica, numismatica e oreficeria. E in questo attuale “cantiere aperto” turisti e cittadini potranno osservare da una inedita prospettiva i dettagli dell’apparato decorativo, descritti da operatori esperti insieme con le tecniche dell’eccellenza italiana nel settore del restauro.
Si comincia, sabato 8 febbraio, con la Sala del Pappagallo, che prende il nome dal colorato e canterino uccello che Barbo teneva in casa, adeguandosi all’abitudine di principi e alti prelati di sfoggiare animali esotici. Tanto più che in questa sala il cardinale riceveva gli ospiti più fidati. L’attenzione sarà rivolta sul pavimento in cotto e maiolica dai colori blu e rosso scuro, sul soffitto a cassettoni dipinti in legno, sui fregi murali con festoni e ghirlande di fiori nella parte più alta dell’ambiente. Gli altri appuntamenti riguarderanno il 15 marzo la Sala dei Paramenti (quelli di papa Paolo II) detta pure delle Fatiche d’Ercole; il 12 aprile quella del Mappamondo; il 17 maggio e il 21 giugno la Sala Regia.
Il programma di visite (alle ore 10.00, alle 11.30, alle 13.00 e alle 15.00 e riservate ad un massimo di 8 persone a turno previa prenotazione inviando richiesta a: vi-ve.edu@cultura.gov.it) è anche un modo per accendere i riflettori su un edificio che stratifica avvenimenti: dalla presenza del committente Pietro Barbo a quella dell’ambasciata della Repubblica di Venezia, cui si sostituirono gli austriaci allorché Napoleone fu costretto a concedere il palazzo dopo il Trattato di Campoformio.
Poi la restituzione all’Italia nel 1916 e infine la presa di possesso da parte di Mussolini, un accidente a causa del quale l’edificio e il suo contenuto hanno subito dalla nascita della Repubblica una sorta di damnatio memoriae. Invece Palazzo Venezia, costruito a partire dal 1455, è un polo culturale della città, e bene sta facendo la Direttrice Edith Gabrielli a portarlo alla ribalta. Il suo Museo Nazionale, collocato nell’appartamento Cybo, fu aperto, con una collezione di arte medievale e rinascimentale, nel 1921. Restaurato da Federico Hermanin (che peraltro riunificò la Sala del Mappamondo che l’Ambasciata austriaca aveva diviso con un tramezzo), il Museo dal 1929 al 1943 condivise gli spazi con il governo fascista (fu durante questo periodo che il Duce volle il rifacimento del pavimento della “sua” sala inserendo i simboli della dittatura, in primis i Fasci).
E se nell’appartamento Barbo sono state allestite mostre temporanee, nel Cybo è esposta la collezione permanente che si è man mano “gonfiata” di oggetti, dalle porcellane cinesi, francesi, napoletane a oreficerie liturgiche e fino a un lapidarium collocato nella loggia del cortile interno di Palazzo Venezia. Infine, dagli anni Novanta, ospita la Biblioteca Nazionale di Archeologia e di Storia dell’Arte, spostata dal vicino Palazzo del Collegio Romano.
Certo, sarà molto “gettonata” dai visitatori la Sala de Mappamondo, lo “studio-quartier generale” del dittatore fascista aperto sul fatidico balcone, che non esisteva quando il palazzo fu costruito, ma che fu aggiunto nel Settecento. Però l’interesse storico non si estende a quello artistico, perché gli affreschi sono soprattutto decorativi.
La Sala delle Fatiche d’Ercole mostra invece un articolato ciclo di pitture con le imprese del forzuto eroe. L’autore non è stato mai identificato con certezza, anche se riconducibile alla cerchia del Mantegna, attivo a Roma intorno al 1470, l’anno al quale risalgono i documenti di pagamento per la realizzazione degli affreschi commissionati da Pietro Barbo per il proprio appartamento. E non ci si stupisca che in una stanza tanto “sacra” – Paolo II vi riponeva gli indumenti pontificali - fosse immortalato un eroe pagano. Quello di Ercole è uno dei cicli mitologici che per primo subì un processo di cristianizzazione, anche perché il protagonista è simbolo della vittoria del Bene sul Male.