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10 novembre 2023,
di Lidia Lombardi 

Rinasce il vino dei Borboni
 

Ferdinando di Borbone, il “re lazzarone”, amava offrirlo ai sui ospiti, brillante nei calici sulle tavole imbandite. Al commiato poi, il monarca gaudente che regnò sessantacinque anni e che agli obblighi istituzionali preferiva la caccia e le cavalcate, ne faceva dono ai blasonati commensali.

Il vino preferito proveniva dai sedici moggi di vigna – equivalenti a cinque ettari – impiantata nella Real Tenuta del Bosco di San Silvestro, sullo sfondo della Reggia di Caserta. Si chiamava Pallagrello. Anzi, si chiama. Perché dopo un secolo riempie di nuovo le bottiglie. Merito della Cantina Tenuta Fontana che ha fatto rinascere la Vigna del Re della Reggia di Caserta, il capolavoro di Luigi Vanvitelli allietato da giardini, peschiere, fontane. E dove appunto il terreno che una volta era filari e, abbandonato, era stato invaso dalla boscaglia, ha di nuovo ripreso, nel 2018, l’aspetto di vigneto.

Prima vendemmia nel 2021, un prosit con il paglierino OroRe Pallagrello Bianco Igt. Ora è la volta di OroReNero, il pallagrello nero igt che fa parlare di miracolo tra gli enologi e gli appassionati e che verrà presentato e degustato per la prima volta mercoledì 29 novembre alla Reggia di Caserta.

I vini di questa contrada sono eccellenti, e sono de’ migliori del Regno così per la loro qualità e natura, come per la grata sensazione che risvegliano al palato. Vanno sotto il nome di Pallarelli e sono stimatissimi nei pranzi

Dice Tiziana Maffei, direttore del sito patrimonio Unesco: ”Con orgoglio presentiamo il risultato tangibile di un grande lavoro di squadra del quale ringrazio Tenuta Fontana. Un lavoro improntato alla valorizzazione dell’identità del Complesso vanvitelliano. La vocazione produttiva della corte borbonica trovava espressione anche nella vitivinicoltura. Nel progetto di Re Carlo e del suo architetto Luigi Vanvitelli, la Reggia doveva essere residenza reale, ma anche fucina di produttività e delle eccellenze del territorio. Oggi la Reggia di Caserta è un Museo contemporaneo e internazionale, vivo e attivo, al servizio della società e del suo sviluppo. OroRe è un’occasione per far conoscere la sua storia, le sue origini e le sue molteplici vocazioni anche nel settore enologico. Per il pubblico, gli addetti ai lavori e il mercato per scoprire un prodotto unico al mondo, degno della tavola di un re".

Nel dizionario geografico-ragionato del Regno di Napoli, datato 1797-1802, si legge infatti: "… I vini di questa contrada sono eccellenti, e sono de’ migliori del Regno così per la loro qualità e natura, come per la grata sensazione che risvegliano al palato. Vanno sotto il nome di Pallarelli e sono stimatissimi nei pranzi… ". 

Poi, le infestazioni di fillossera ne decretarono un’ingloriosa fine. Ma il Pallagrello rimase nella memoria e, forse, in qualche campo di contadini degradato a vino da taglio. Ufficialmente, quello del Re, era morto. Adesso Tenuta Fontana al Bosco di San Silvestro lo ha resuscitato.

In che modo lo  spiegano Mariapina e Antonio Fontana, proprietari della Cantina, con sede a Pietrelcina, il paese di Padre Pio: "Eravamo consci della delicatezza del ruolo che svolgevamo e lo abbiamo portato avanti con la maggior cura possibile e coordinandoci continuamente con la Reggia di Caserta e tutti gli studiosi che potevano darci indicazioni utili. Il risultato pensiamo sia un capolavoro dell’agricoltura e della vinificazione, però spetterà al pubblico deciderlo. OroRe bianco ha avuto un grande successo, ora tocca a OroRe Nero farsi conoscere e apprezzare. Ma ancor più importante è stato il processo di rinascita, un simbolo per il territorio casertano ma anche per tutto il Sud Italia e siamo fieri di aver contribuito alla riuscita del progetto".

Un miracolo anche grazie alla lungimiranza dei direttori della Reggia, Mauro Felicori prima, con l’intuizione di far rinascere la vigna, e Tiziana Maffei, poi, con la perseveranza nel portare avanti l’impegno.

Ma come è nata la denominazione del vitigno, anch’essa con evidente ascendenza dialettale? Dalla forma degli acini attaccati ai piccoli grappoli: perfettamente sferici, piccole palle insomma. In dialetto locale “U Pallarel”, da cui Pallagrello, con varietà bianca e nera, coltivato in Campania e soprattutto nella provincia di Caserta

L’azienda ha coinvolto due importanti professionisti a livello nazionale. L'enologo Fiorentino Francesco Bartoletti e l’agronomo livornese Stefano Bartolomei hanno utilizzato il metodo di coltivazione biologico in grado di salvaguardare l’ambiente privilegiando la qualità del prodotto, avvalendosi anche di una ong accreditata Unesco, dal nome sapido di dialetto. Si chiama Associazione "Sant’Antuono e le battuglie pastellessa" (la musica prodotta battendo botti, tini e falci in occasione della festa del patrono). Tanto che nel luglio 2022 la rinascita della vigna della Reggia di Caserta è stata presentata anche all’Assemblea dell’Unesco con un volume a cura di Luigi Ferraiuolo e un incontro con la partecipazione dell’ambasciatore d’Italia presso il medesimo organismo internazionale, il presidente dell’Unpli nazionale, il direttore della Reggia e Tenuta Fontana.  

Ma come è nata la denominazione del vitigno, anch’essa con evidente ascendenza dialettale? Dalla forma degli acini attaccati ai piccoli grappoli: perfettamente sferici, piccole palle insomma. In dialetto locale “U Pallarel”, da cui Pallagrello, con varietà bianca e nera, coltivato in Campania e soprattutto nella provincia di Caserta. Le origini però sono più lontane, a Monticello, nel comune di Piedimonte Matese. Ancora in questa località è conservata un’epigrafe realizzata per volere di Ferdinando di Borbone: il re impediva categoricamente ai non autorizzati di attraversare i 27 moggi di vigna di Pallagrello. Ma andando indietro nei secoli, il vitigno è, in base a numerose risultanze storiche, riconducibile secondo alcuni addirittura alla Pilleolata romana. Fatto sta che restò famosissimo fino a tutto l'Ottocento. Appunto i Borbone lo inserivano con il nome di Piedimonte rosso nei menu delle grandi occasioni, accanto ai più titolati vini francesi.

Poi la decadenza. Le vigne furono attaccate da filossera e ioidio, l’avvento dei Savoia fece il resto, perché i sovrani piemontesi abbandonarono il Palazzo reale e i terreni tutt’intorno, il parco di 123 mila ettari al quale si aggiungono i settanta ettari del Bosco di San Silvestro. Le grandi estensioni della Reggia di Caserta non avevano solo la finalità di esprimere la magnificenza del Regno, ma venivano utilizzate anche per scopi produttivi.

La corte era espressione di un antesignano sistema economico autosufficiente, compreso il fiore all’occhiello delle Seterie di San Leucio, un’industria modello anche per le avanzate tutele contrattuali rivolte agli operai. Anche per questo la Reggia di Caserta, di cui sono parte anche il Bosco di San Silvestro e l’Acquedotto carolino - deputato a convogliare nelle fontane del Parco, dopo un percorso di 38 chilometri l’acqua delle sorgenti del fiume Fizzo, sul monte Taburno -  è oggi Museo autonomo del Ministero della Cultura e dal 1997 è stata riconosciuta Patrimonio dell’Umanità.

Nel rispetto dell’integrità ambientale e dell’aura di nobiltà che lo circonda, il vino dei Borboni ha un’altra particolarità: matura in anfore di terracotta, eliminando interferenze del contenitore e mantenendo intatte le caratteristiche organolettiche del vitigno. Leviamo i calici.

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