“Semel in anno licet insanire” concedevano Seneca, Orazio ma anche Sant’Agostino. Specie a Venezia, che per l’occasione fa luccicare – impudiche – perle nascoste in ogni campiello, in ogni cortile. Da scovare con l’atout della curiosità. Ecco uno “scrigno” fuori dai soliti circuiti turistici, che a febbraio si spalanca a tutti per raccontare senza veli la sua storia. È un piccolo edificio nel sestriere di San Polo, quasi dirimpetto alla fantasmatica Scuola Grande di San Giovanni e alla sua Cappella della Croce.
Si chiama Palazzetto Bru Zane e deve metà del nome a Nicole Bru, medico, moglie di un industriale farmaceutico, che nel 2006 lo ha acquistato e restaurato per farne la sede di una Fondazione dedicata allo studio e alla diffusione della musica francese dell’Ottocento. L’altra metà del nome lo deve invece alla famiglia degli Zane (e Zanni è un topos in Laguna, rimanda alle maschere della Commedia dell’Arte).
Dunque, dicono i documenti, intorno al 1250 il casato fece costruire un imponente palazzo circondato da parecchio terreno. Nel 1665, poi, Domenico Zane, ambasciatore della Serenissima in Austria e Spagna, affida la ricostruzione della facciata a Baldassarre Longhena – l’ideatore sul Canal Grande di Santa Maria della Salute – e lascia tutti i beni al nipote Marino, bibliofilo e collezionista di porcellane.
Al salone per feste e convivi si uniscono la biblioteca e stanze per altri diletti e, chissà?, per gli amori
Il quale proprio in fondo al giardino fa costruire un casino di delizie: al salone per feste e convivi si uniscono la biblioteca e stanze per altri diletti e, chissà?, per gli amori. Antonio Gaspari, allievo del Longhena, piega a tale uso il progetto architettonico: il palazzetto si spalanca agli ospiti con tre entrate, una sul rio, le altre tra gli alberi e le siepi della proprietà. E usa mosaici rococò di marmi gialli, verdi e rossi per il pavimento dell’atrio. Da qui s’inerpica una graziosa scala, e lo sguardo s’inebria negli affreschi di Sebastiano Ricci che la decorano fino al soffitto del secondo piano, nel quale è un volitivo “Tempo che rapisce la Verità” dentro una cornice di stucchi e festoni, mentre nei sottoscala danzano medaglioni di rami e fiori.
Tutto questo era in abbandono dagli anni Quaranta. E ha ritrovato colori, stabilità e visitatori dal 2009, quando Palazzetto Bru Zane ha riaperto i battenti. Il recupero è partito dalle fondamenta immerse nel rio, che dovevano essere fortificate. Poi il tetto, il restauro degli affreschi, la creazione della sala prove e dei camerini per i concertisti e i conferenzieri. Ma qui la musica, oltre a farla, si studia e si registra. Ricercatori scavano nelle partiture e nei titoli che vanno dalla Rivoluzione Francese alla Prima Guerra Mondiale. Le fonti sono gli archivi di istituti come Villa Medici a Roma o il Centro Boccherini di Lucca, ma anche i fondi privati dei discendenti degli autori. Tutto poi si riversa nelle pubblicazioni della Fondazione, nelle registrazioni di cd, nei concerti.
Allegria e raffinatezza si propongono nell’appartato Palazzetto che nei giorni attorno al Sabato Grasso – 17, 18 e 19 febbraio – evoca la cugina ridanciana,
L’occasione per visitare gratuitamente il Palazzetto si fa ghiotta in queste settimane di febbraio, quando come mai Venezia è una vetrina vanitosa della merce esposta. Allegria e raffinatezza si propongono nell’appartato Palazzetto che nei giorni attorno al Sabato Grasso – 17, 18 e 19 febbraio – evoca la cugina ridanciana, Parigi. “Café Concert” è lo spettacolo che metterà in scena Émeline Bayart, cantante, attrice e regista d’Oltralpe.
Racconterà di coppie appassionate, di libertini, di amanti crudeli; uomini e donne che si annoiano, si tradiscono, si dilaniano. Malizia e ironia con le parole delle chanteuses de caractère, da Yvette Guilbert, musa di Toulouse-Lautrec, alla spregiudicata Juliette Noureddine.
Tornerà così inebriante come una coppa di champagne il salone del Palazzetto una volta adibito alle danze, che risplende nel soffitto affrescato dal Ricci con la figura di “Ercole tra la Gloria e la Virtù”. Lo contornano particolarissime conchiglie di stucco che racchiudono leziosi amorini. A chi ascolterà sporgendosi dalla balaustra di legno intarsiato che circonda in alto la sala, su un ballatoio dove nel Settecento si sistemava l’orchestra, parrà di stare nel salotto musicale di allora.