immagine
17 marzo 2025,
di Guendalina Dainelli

Sharon Stone, un inno alla vita (parola di Scorcelletti)

“La foto è stata scattata nel 2002, durante quella che Sharon Stone pensava fosse l’ultima edizione del festival di Cannes a cui avrebbe partecipato”, racconta il fotografo Emanuele Scorcelletti, descrivendo il pathos che racchiude una delle immagini più potenti della diva di Basic Instinct. “L’attrice aveva scoperto da poco di avere una grave malattia e temeva che per lei la vita si fosse drasticamente accorciata.”
Scorcelletti è una trottola inafferrabile nel giorno dell'inaugurazione della sua ultima mostra, Elegia Fantastica, esposta alla Leica Galerie del South Beach Quarter di Singapore. Nato a Lussemburgo da genitori marchigiani, ormai da anni di casa a Parigi, un sorriso aperto e un’eleganza tutta italiana, il fotografo commenta uno dei suoi scatti più famosi, quello con cui ha vinto il prestigioso World Press Photo Award 2003 nella categoria Arte e Cultura: Sharon Stone è sul red carpet del Festival di Cannes, la schiena e la testa inarcati all'indietro, il braccio levato in una posa scultorea, audace, quale solo una diva del suo calibro poteva assumere.
“Io in quell’anno avevo la fortuna di essere l’unico fotografo a cui era permesso lavorare dal backstage di Cannes. Quando dall’alto ho visto arrivare Sharon Stone è come se avessi sentito il carico emotivo che l’attrice stava vivendo. Allora ho preso la macchina fotografica in mano, che al tempo era analogica, e come per magia mi sono ritrovato lì pronto quando lei a fatto quel gesto liberatorio, così perentorio, che mi suonò come un inno alla vita. Penso che questo scatto di Sharon Stone sia l’espressione più pura dell’attimo fotografico.”
 
Diva tra le dive, cosa l'ha colpita di lei?

“Devo dire che ho avuto la fortuna di riuscire a stabilire con l’attrice un rapporto di fiducia e non è una cosa facile. Penso che il segreto sia essere sinceri e stabilire una connessione con l’altro attraverso il rispetto. Sono riuscito a far avere la foto a Sharon Stone attraverso la sua guardia del corpo e da lì è nato un rapporto di stima e rispetto che mi ha permesso di cogliere dei momenti insoliti e inediti dell’attrice. Nel camerino, in auto, nella sua stanza in momenti semplici e quotidiani. Sharon Stone mi ha sempre colpito per la raffinata eleganza e acuta intelligenza.”
Quali sono le doti per lavorare sul red carpet?
“Vorrei chiarire che io in realtà non ho mai lavorato sul red carpet, la mia fortuna è quella di essere riuscito, con la rivista francese Le Figaro, ad avere un pass che mi permettesse di scoprire il più grande festival del Cinema da dietro le quinte. Avevo un punto di vista privilegiato e questo è stato davvero un’occasione unica per conoscere Cannes da dentro. La fotografia sul red carpet nasce per una serie di combinazioni della vita che penso stiano sempre dietro a ogni importante scatto.”
Quante macchine possiede? Quanto è importante la macchina e quanto l’arte del fotografo?
“Possiedo tre apparecchi fotografici Leica, strumenti sofisticati e capaci di farmi dialogare con la luce. Per il bianco e nero digitale utilizzo una Leica Monochrom mentre per le foto a colori uso una Leica SL 2S sempre digitale. Tutte le foto della sezione Visioni di Elegia Fantastica sono state scattate con la Leica M Monochrom, mentre ho utilizzato la macchina analogica Leica M6 per realizzare gli scatti della sezione Ricordi. Sono apparecchi di altissima qualità, hanno la particolarità di non essere automatiche e di lasciare al fotografo la possibilità di utilizzarle come se fossero dei pennelli, molto personalizzabili.”
Quali sono i grandi maestri a cui si ispira?
“Vorrei partire da Mario Giacomelli, che ho avuto la fortuna di conoscere personalmente a Senigallia, nelle Marche, la terra in cui questo grande artista (e anche mio padre) è nato. La fotografia di Mario Giacomelli è carica della poesia di questa terra e allo stesso tempo riesce a comunicare quella spontaneità, cruda e pura del quotidiano che tanto caratterizza il neorealismo italiano. Con lui condivido l’amore per questa regione del centro Italia dove la natura, l’umanità e la storia dialogano in perfetta armonia. Le Marche sono la terra delle mie origini dove, come Giacomelli, ritrovo il mio Heimat. ”
Quali altri nomi sono importanti per lei?
“La poesia del grande maestro Henri Cartier Bresson, di cui ho sempre ammirato la capacità di cogliere così elegantemente l’istante mentre svela il suo significato profondo. Seguendo le sue parole mi impegno a mettere insieme “la mente, gli occhi e il cuore” cercando come lui di tirar fuori la poetica umanità dell’essere. Tutte le mie immagini vogliono, poi, omaggiare Jacques-Henri Lartigue, che ci ha insegnato la felicità dell’esistere, il saper guardare la vita sempre con gli occhi entusiasti del bambino. Grazie a Lartigue riesco a meravigliarmi sempre e mantenere una certa leggerezza per affrontare la complessità del vivere.”
Il bianco e nero che talvolta ricordano gli acquarelli, i colori sono meno interessanti?
“Le foto a colori non sono meno interessanti ma le foto in bianco e nero hanno la capacità di tirar fuori l’anima delle cose e delle persone che sono di fronte al mio obiettivo. Per questo molti miei progetti fotografici che si basano sulle emozioni sono in bianco e nero. La sfocatura cancella i confini della realtà e ci proietta in un'altra dimensione poetica, intima e, direi, mistica."
Quale lo scatto che ama di più?
“Quello che ancora non ho realizzato. Non bisogna mai fermarsi ed essere sempre capaci di stupirsi. Noi fotografi partiamo sempre dalla realtà e la restituiamo agli altri attraverso un dialogo amoroso con la luce. La realtà mi richiama sempre alla vita. Alla luce ho giurato fedeltà.”
Un cognome italiano all'estero, aiuta nel settore artistico?
“Non penso sinceramente che un cognome italiano aiuti nell’ambito artistico anche se, ricollegandomi a quanto detto sopra, sono molto fiero di essere italiano e di legare le mie radici a quel paese che nel modo è riconosciuto come la culla dell’arte e della bellezza.”
I progetti futuri?
“Almeno due. Il primo con lo scrittore francese Romain Sardou: stiamo girando il mondo per documentare con parole e immagini la storia e la spiritualità dell’ordine benedettino, a partire dai monaci che ancora vivono nei monasteri, affascinanti scrigni di atmosfere uniche. Il nostro lavoro è sostenuto  da Le Figaro e sono già stati pubblicati i servizi dedicati all’ordine benedettino in Francia, Irlanda e in Italia. Presto partirò per l’Egitto e ci saranno altre tappe.”
E l’altro?
“Riguarda l’Italia, ed è dedicato alla disabilità. Ci tengo in modo particolare. Vorrei usare la fotografia per aprire canali di comunicazione con persone autistiche andando ad accompagnare il loro mondo, dove suono e tempo sono percepiti in un altro modo. Mi vorrei mettere al servizio  di chi vive con percezioni e sensorialità diverse. Sento la ricchezza che sta dietro a questo mondo e mi sento onorato di raccontarla. Inoltre, dovrebbe partire in Italia anche un altro progetto dedicato all’invecchiamento attivo, dove la mia fotografia farà riflettere sul passare del tempo, sugli affetti, la memoria e il ruolo degli anziani nella società.”
 

 

 

Seguici su