Specchio delle mie brame
Guardarsi per apparire o guardarsi per essere? C’è anche questo tra gli interrogativi che suscita una mostra grandiosa e intimista al tempo stesso. Maxi fotografie, settantotto scatti di 35 maestri internazionali sullo sfondo inimitabile delle Terme di Caracalla. È “Narciso/La fotografia allo specchio”, un’esposizione tra etica ed estetica, organizzata da Electa e curata da Nunzio Giustozzi – archeologo, storico dell’arte – fino al 3 novembre tra le possenti mura delle Terme, che hanno nella scorsa primavera ritrovato il loro specchio d’acqua in una vasca a raso di grandi dimensioni nella quale si riflettono i ruderi, luogo di meraviglia e anche di spettacoli, grazie a un palcoscenico galleggiante. “Vestigia romane che danno al contemporaneo una dimensione di eternità”, sottolinea Daniela Porro, soprintendente speciale di Roma.
Dunque, guardarsi per apparire? È la coazione a ripetere dei selfie, che esibiscono ossessivamente chi se li fa, sempre in posa, mai vero. Invece la mostra propone il viaggio nell’anima, che può realizzarsi attraverso la propria immagine riflessa. Del resto, il tema del doppio è presente nella letteratura e nell’arte, dall’antichità al barocco, dal romanticismo al simbolismo, fino al teatro (Artaud scrisse il fondamentale saggio “Il teatro e il suo doppio”, per non dire dell’ambiguità dei personaggi di Pirandello), al cinema (gli inquietanti riflessi di Hitchcock in “La donna che visse due volte”) alla danza, a cominciare dalle sala prove.
A monte uno dei miti più enigmatici, raccontato da Ovidio nelle Metamorfosi. È quello di Narciso, il giovane sordo alla passione della ninfa Eco e tanto innamorato della propria immagine riflessa in un lago fino a scivolare nell’acqua per baciarla e ad annegare. “È sparito Narciso. Dalla sua bellezza/ emanava, continua, una fragranza intensa/ come il profumo di eliotropo/ Ma vedere se stesso era il suo destino”, scrive Rainer Maria Rilke. Intendendo non solo l’aspetto egoistico del personaggio ma, nell’ineluttabile fato, l’essenza stessa che fino al sacrificio della vita egli tenta di indagare.
Ecco allora l’immagine simbolo della mostra, la sua copertina. È di Mat Collishaw, tra i più colti e controversi protagonisti della scena artistica britannica contemporanea (è nato a Nottingham nel 1966), un autoritratto giovanile che ribalta l’idillio del mito: non in un bosco, ma nel vicolo sordido di un sobborgo metropolitano, nel quale pali di cemento sostituiscono gli alberi, egli, steso tra la melma, il corpo bello e vigoroso, il volto celato dai capelli lunghi, si specchia in una pozzanghera. L’opera, “Narcisus” (1990) fa parte della prima sezione della mostra, appunto dedicata all’autoritratto. E comprende, tra l’altro, un’immagine diventata icona della fotografia d’avanguardia, “Autoritratto con Leica”. Era il 1931 e Ilse Bing – ebrea tedesca emigrata prima a Parigi e poi in Usa per sfuggire ai nazisti (morì a New York nel 1998) – mise su un set rudimentale in una camera d’albergo della capitale francese: uno specchio appeso su una scrivania, un altro di fronte e lei che si riflette nel primo e nell’altro, il volto celato per metà dalla piccola Leica.
Vibra la grande storia in uno scatto di Robert Capa, il fondatore dell’Agenzia Magnum: Unione Sovietica, 1947, lui e lo scrittore americano John Steinbeck – dopo aver documentato gli ultimi atti della Seconda Guerra Mondiale – accettano un incarico da Stalin. Ed eccoli in una camera d’albergo, si riflettono in uno specchio, complici e consapevoli della svolta epocale che il mondo sta vivendo.
“Oh, il bel volto adorabile!”, la seconda sezione prende lo spunto da un verso di Umberto Saba su Narciso e indugia sulla Bellezza che alimenta l’autocompiacimento, ma anche il terrore del vanesio di arrivare un giorno a bruciarsi. Così il “Narciso” di Gian Paolo Barbieri è un nudo chinato su una superficie nera e riflettente, dove la luce scolpisce le forme, il sensualismo resta pudico e intellettuale, l’indice che punta la propria immagine cerca di identificarsi con certezza.
Infine, il tuffo nel mondo delle celebrità, con attori e attrici colti nel proprio camerino, quando si interrogano su se stessi e non sul proprio personaggio. Fabio Lovino, romano, nel 1991 scruta Tilda Swinton durante le riprese del film “Orlando”. Usando uno dei suoi specchi a tre facce offre altrettante angolazioni del volto dell’attrice scozzese, in una immagine “bergmaniana”, fuori dallo spazio e dal tempo. Anna Magnani è inchiodata dalla fotocamera di Fosco Maraini durante la lavorazione di “Vulcano”, il set-vendetta contro il tradimento di Roberto Rossellini con Ingrid Bergman che stavano girando “Stromboli”. Per contro la loro figlia più famosa intriga nella foto “Lo specchio. Isabella Rossellini subito prima di essere portata sul set” di Simone Martinetto, 2010. Il quale racconta:
“Appena messo piede sul camper del reparto fotografia per lasciare il mio zaino vengo chiamato da un ispettore di produzione che mi dice che Isabella Rossellini vuole che vada subito da lei nel suo camerino. È una cosa rarissima che gli attori chiamino un fotografo di scena in camerino e ancor meno se questo fotografo è a loro sconosciuto. Con grande imbarazzo e paura varcai quella soglia, ma la sua gentilezza e disponibilità mi misero subito a mio agio”.
Nell’ambiente scoperto delle Terme dov’era la Natatio, la grande piscina, memorabili foto si impongono come rarità e documenti di costume, tra nomi celebri e persone sconosciute. C’è Coco Chanel che nel 1953 per Robert Doisneau da una scala tutta specchi guarda le sue modelle senza essere vista. Ma ci sono anche Frank Horvat che nel 1952 se ne va in India e Pakistan con la sua Leica ed esegue una serie di inedite inquadrature come in “Nozze islamiche: un giovane sposo scopre il volto della sposa in uno specchio”; oppure Lisetta Carmi che dedica ai “Travestiti di Genova” un racconto fotografico capace di anticipare sensibilità e tempi.
Intervallati alle immagini, nella Natatio sono sistemati specchi nei quali i visitatori possono scrutarsi in un atto di narcisismo, se sono vanitosi, oppure di coraggio, se temono di scoprirsi. Perché, nota Ferdinando Scianna, il primo italiano a entrare in Magnum Photos, “nel mito antico di Narciso sono racchiuse tutte le ragioni della fascinazione e dell’orrore che da sempre gli specchi hanno suscitato sugli uomini. In questo mito possiamo trovare tutte le metafore che contiene la fotografia”.