Scipione Borghese, il raffinato e potente “cardinal nepote” di papa Paolo V, la chiamava “il tinello de’ li gentil’ homini”. Che egli radunava nella loggia ovale a ridosso del Casino Nobile di Villa Borghese per banchetti a suon di musica dove si mescevano vini prelibati e si servivano sorbetti – una novità quel ghiaccio tritato per i commensali – usciti dalla Grotta attigua al “tinello”. La Loggia dei Vini – il nome ufficiale del manufatto – era insomma un luogo di delizie e di piacere immerso tra i prati e gli alberi del più grande e blasonato parco di Roma. Era, anzi è: perché da oggi e dopo molti anni si riapre al pubblico al termine di un restauro – la prima delle tre fasi programmate – che restituisce la leggiadria del padiglione.
E infatti via sporcizia, resti di brune ridipinture e di consolidanti nocivi, infiltrazioni, muffe, muschi, licheni, grumi di insetti. Ed ecco riemergere i colori delicati dell’affresco nella volta, il chiarore degli stucchi con la danza di festoni, il profilo pulito degli otto pilastri che sorreggono la costruzione, in un gioco di fuori/dentro che moltiplica scorci e prospettive, com’è tipico del barocco.
L’intervento di risanamento si deve a Ghella, impresa di primaria importanza nel settore della costruzione di grandi opere fondata centotrenta anni fa. Dopo il Giardino delle Erme è la seconda attuazione di norme contenute nel recente Codice degli Appalti che – ha spiegato Federica Pirani, direttrice del Patrimonio artistico Ville Storiche della Sovrintendenza Capitolina – “permette a un privato non solo di effettuare donazioni in denaro per i beni culturali ma anche in prestazioni”. Un onore la reificazione di un restauro all’interno di Villa Borghese, ha sottolineato Enrico Ghella, presidente e amministratore delegato – “perché crediamo che il nostro ruolo nella società non si debba limitare a costruire infrastrutture ma farsi promotore di un modello di mecenatismo che si interfacci con il pubblico e si leghi al contemporaneo”.
E infatti l’apertura della Loggia si innesta anche su un programma intitolato Lavinia, per rendere omaggio a Lavinia Fontana, tra le prime pittrici riconosciute nella storia dell’arte, con un posto ben preciso nella Galleria Borghese, che espone il suo “Minerva in atto di vestirsi” commissionatogli dal cardinal nepote negli stessi anni (1609/1619) in cui si edificava la Loggia. Il progetto, curato da Salvatore Lacagnina, esporrà opere site specific ma sarà anche propulsore di incontri, laboratori con accademie e scolaresche, dialoghi, invitando il pubblico a una “passeggiata della fantasia”.
E’ la fantasia che animò l’autore dell’affresco sulla volta, un “Convito degli dei” realizzato tra il 1616 e il 1618 da Archita Ricci, il pittore urbinate destinatario di molte committenze Borghese. Egli colloca a capotavola del banchetto Giove e Giunone (figure purtroppo quasi del tutto scomparse) con il coppiere Ganimede, che porge loro il vino. Seguono Plutone, Apollo, Diana, Mercurio, Venere e un Marte che guarda fuori della scena, come un alter ego di Ricci per quel pizzetto assai di moda nel Seicento. Su di loro amorini recano brocche colme di vino e lanciano petali. E davvero durante i ricevimenti di Scipione – spiega Pirani - un meccanismo spandeva dal soffitto fiori sul commensali, seduti a una tavola di marmo bianco attorno alla quale correva un incavo riempito di gelida acqua dove infilare i bicchieri e tener fresco quanto proveniva dalla “copiosissima dispensa di nettari e d’ambrosie”che uscivano dalla Grotta collegata attraverso un cunicolo sotterraneo al Casino Nobile e progettata insieme al resto da Flaminio Porzio e da Giovanni Vasanzio.
Il primo lotto di restauro ha riguardato appunto il recupero dell’interno della loggia, dall’affresco della volta ai pennacchi e alle vele, dove alle perdute originarie pitture con Muse, strumenti musicali e stemmi araldici si è sostituita una tinta pastello che alterna il giallo paglierino al cilestrino color dell’aria; ancora, ripulite le mirabili decorazioni in stucco e risanate le otto paraste interne ai pilastri della loggia, oltre alla scalinata semicircolare attorno al cancello. Gli altri due lotti prevedono tra l’altro l’ispezione nella Grotta, ora chiusa da un muro, per l’eventuale ripristino del cunicolo che portava alla cucine del Casino nobile.
Intanto stimolano il confronto tra XVII e XXI secolo le opere sistemate nel terreno che circonda la loggia come una corona. Qui c’erano ninfei e vasche: ora la nicchia dell’acqua sparita è chiusa da un piccolo cancello scolpito da Enzo Cucchi, con una lupa dalle mammelle gonfie sullo sfondo di tralci e pomi di un immaginario rigoglioso arbusto; l’allusione alle fontane viene giocosamente da un’installazione azzurra di Piero Golia, un bidone che versa senza sosta un getto d’acqua in un piccolo contenitore che non trabocca mai; il cancello d’ingresso ha una maniglia scolpita in ferro argentato da Monika Sosnowska; bassi tavoli gialli ideati da Gianni Politi invitano a sedersi, magari ascoltando il suono di un enorme “organo” di corte canne e residui metallici ideato da Virginia Overton.
Così la Loggia dei Vini - severa all’esterno nei blocchi di tufo che la fanno emergere dallo sterro (in cima recava in origine otto uccelli in peperino, mentre nella rampa di accesso vigilavano due sfingi egizie) - diventa luogo di meraviglie all’interno replicando, ha osservato l’assessore alla Cultura Miguel Gotor, la stratificazione di epoche, stili e arti che crea l’unicità di Roma. Un segno affascinante che si scorge da via Pinciana e dal viale dell’Uccelliera, ora con il cancello gratuitamente aperto dalle 9 di mattina al tardo pomeriggio per cittadini e turisti.