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20 dicembre 2023,

Lampi di storia

Cosa accomuna grandi fotografi italiani come Bruno Stefani e Mimmo Jodice, registi osannati come Bernardo Bertolucci, i fratelli Taviani e Gillo Pontecorvo, firme eccelse del design come Marcello Nizzoli, architetti come Mario Bacciocchi, Marco Bacigalupo e Ugo Ratti, esponenti di spicco del panorama culturale del ’900 come Leonardo Sciascia, Goffredo Parise, Natalia Ginzburg?

Sono tutti conosciuti a livello internazionale per i risultati raggiunti ciascuno nella propria arte e tutti hanno intrecciato parte della loro attività professionale, con l’azienda del Cane a sei zampe, nata nel 1953 sotto la guida di Enrico Mattei, l’Ente Nazionale Idrocarburi, o meglio Eni, che ha celebrato quest’anno i 70 anni di vita.

Le loro opere – assieme a quelle di altre centinaia di artisti, manager, ricercatori che hanno accompagnato per decenni l’evoluzione di questa impresa, importante per la storia italiana – fanno parte dell’Archivio storico dell’Eni: uno straordinario patrimonio storico custodito con estrema cura e messo a disposizione della comunità scientifica, dei ricercatori, degli studenti.

Oggetto di una poderosa campagna di digitalizzazione solo da poco conclusa con l’obiettivo di preservare i diversi e preziosi materiali storici in esso conservati, l’archivio è ospitato in una struttura nel parco di Villa Montecucco a Castel Gandolfo – uno dei borghi più belli d’Italia, a poco più di 20 chilometri dalla Capitale, scelto dai papi come residenza estiva –, in prossimità del Palazzo Apostolico e affacciata sul lago di Albano.

La villa – realizzata nella seconda metà dell’Ottocento dal cardinal Camillo di Pietro, già vescovo di Albano e successivamente appartenuta fino al 1917 a Giulio Monteverde, senatore del regno e scultore di fama internazionale – fu acquistata da Eni nel 1970 per farne il suo centro di formazione.

Proprio accanto alla villa sorge il fabbricato destinato alla conservazione e alla consultazione dell’archivio storico: tra scaffali compatti, sistemi di monitoraggio di temperature e umidità, contenitori speciali per la conservazione delle diverse tipologie di documenti, c’è una vera miniera di testimonianze storiche a disposizione di studiosi e ricercatori che possono contare su computer, scanner e visori per le fotografie e le diapositive per consultare liberamente tutti i documenti che abbiano superato almeno trent’anni dalla loro redazione.

"L’archivio storico Eni viene dichiarato di notevole interesse nazionale dal ministero della cultura nel 1993. Aperto al pubblico nel 2006, ospita ricercatori da tutto il mondo, scuole e semplici curiosi che vogliono approfondire la storia della nostra azienda – conferma Lucia Nardi, Responsabile Cultura d’impresa e archivio storico Eni –. L’archivio mette a disposizione circa 6 chilometri di documentazione, 500 mila immagini e 5 mila audiovisivi che coprono ben oltre i 70 anni di Eni. In archivio infatti sono conservati anche i documenti di Agip (dal 1926) e delle imprese che facevano ricerca petrolifera già all’inizio del secolo scorso e che Eni ha acquisito nel corso della sua storia".

E se ci si addentra nel percorso dei cinque archivi che custodiscono il patrimonio dell’archivio è facile che qualsiasi persona oggi di mezz’età e più riscopra o riconosca anche qualche immagine del proprio passato. Nell’archivio fotografico ci sono oltre 500 mila immagini che testimoniano l’evoluzione dell’Italia a partire dalla ricerca petrolifera negli anni Trenta e poi la metanizzazione, la nascita delle stazioni di servizio e delle raffinerie, la vita dei tecnici al lavoro in Italia e all’estero, i villaggi vacanze costruiti per i dipendenti.

L’archivio audiovisivo è una cineteca con oltre 5 mila film: per lo più pellicole, betacam e vhs provenienti dalla cineteca Agi, dai depositi delle ex società Snam, Agip e Agip Petroli, dalla Shell Italiana (ex IP), dalla comunicazione Eni e dall’archivio personale del poliedrico artista belga Jean-Michel Folon, che ha collaborato intensamente con l’azienda.

L’archivio dei disegni tecnici – prezioso termine di confronto anche per gli aspiranti ingegneri e architetti – testimonia la vasta attività di progettazione tecnica di Eni a partire dagli anni Cinquanta: non solo oleodotti, navi, piattaforme, ma anche palazzi per uffici, stazioni di servizio, motel, case per i dipendenti, chiese, villaggi per le vacanze.

L’archivio delle riviste aziendali – “Il Gatto selvatico” voluta da Mattei e indirizzata a oltre 12mila lettori e la più recente “Ecos” – racconta, grazie alla collaborazione di firme illustri, la crescita dell’Italia a partire degli anni del boom economico. Quegli stessi anni che si rispecchiano nella sezione dedicata ai manifesti e agli oggetti museali, dove sono conservate le tracce delle più importanti campagne pubblicitarie Agip, dalle immagini della collezione di strumenti utilizzati a partire dagli anni Venti per l’estrazione del petrolio a quelle dei distributori di benzina, della scrivania e dell’automobile di Enrico Mattei. Per arrivare a ricordi come le cartoline e i gadget aziendali con il logo del Cane a sei zampe.

Tra i ricordi più iconici, quelli che fanno riferimento alla “storica” benzina Supercortemaggiore, raffinata e commercializzata dall’Agip negli anni Cinquanta e Sessanta: l’unica benzina prodotta dalla raffinazione di petrolio estratto in Italia, frutto di un piccolo giacimento che ebbe il merito di convincere il mondo politico e l’opinione pubblica italiana che il Paese dovesse perseguire una politica energetica autonoma. Un concorso aperto a tutta la popolazione decretò nel 1952 la vittoria del Cane a sei zampe come marchio per la campagna pubblicitaria dei due prodotti di punta di Agip: la benzina Supercortemaggiore e il metano Agipgas. Lo slogan “La potente benzina italiana” fece il suo ingresso all’interno del Carosello con gli spot interpretati tra gli altri da Franca Valeri e Dario Fo. Un pezzo di storia del Paese che merita di essere ricordata e riscoperta.

"Un’impresa che conserva e valorizza il proprio passato e ne favorisce la conoscenza è un’impresa che ha ben chiaro il valore della sua cultura d’azienda e sa che è il primo elemento utile per create identità e appartenenza – dice ancora Lucia Nardi – . Conoscere il nostro passato significa vedere chiaramente come si è andato definendo il nostro modo di fare le cose: spirito di squadra, coraggio, creatività e molta, molta competenza".

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