Si dibatte, spesso ci si accapiglia a proposito della rete che l’Intelligenza Artificiale ci sta avvolgendo intorno per annullarci e sostituire con un algoritmo il nostro pensiero, gabellando il falso per verità. Hollywood scende in sciopero, temendo di veder cancellato il lavoro di scrittori per il cinema e di maestranze, Chat GPT subisce una serie di stop and go, lo stesso inventore di Ai, Geoffrey Hinton, ne prende le distanze.
Nelle grinfie del futuro straniante, catapultati in mondi paralleli usciti dai sensori e dai computer? E’ un domani che ci renderà più liberi di immaginare (e ricercare) o che ci tarperà le ali? Utopia o distopia? Prova a rispondere una mostra coinvolgente e problematica al tempo stesso, “Ipotesi Metaverso”, in corso fino al 23 luglio a Roma, nell’ottocentesco Palazzo Cipolla di via del Corso (da martedì a domenica, orario 10-20) dove il presidente della Fondazione Terzo Pilastro, Emmanuele Emanuele ha voluto un’ennesima esposizione sui confini dell’arte contemporanea.
Perché è appunto l’arte il terreno della rassegna, curata da Gabriele Simongini e da Serena Tabacchi. L’arte come terreno del futuribile, fatta da autori inchiodati al proprio computer, che funziona come un supercervello capace di creare mondi immaginari.
Il nocciolo originale di “Ipotesi Metaverso”: essere la prima esposizione internazionale che affianca passato e presente, opere fatte a mano secoli fa e opere frutto dell’invenzione digitale
Epperò, avverte Simongini, professore all’Accademia di Belle Arti di Roma, critico e storico nonché instancabile curatore di mostre, il viaggio ai confini della realtà non è certo una rivoluzionaria tendenza del Terzo Millennio. Perché a creare visioni fantastiche, universi metafisici, spazi inquietanti per dilatazione o contrazione si sono esercitati geniali artisti fin dall’epoca del Barocco.
Eccolo, il nocciolo originale di “Ipotesi Metaverso”: essere la prima esposizione internazionale che affianca passato e presente, opere fatte a mano secoli fa e opere frutto dell’invenzione digitale. In un piano paritario, senza formulare giudizi di merito, consapevole che si naviga nel mondo dell’Ipotesi, appunto, che non sappiamo dove possa condurci e che però fluttua inarrestabile. Operazione onesta intellettualmente e capace di un’avvertenza etica, come la evoca con vigore Simongini: guai annullarsi nell’incoscienza del presente e affidarsi a occhi chiusi al futuro. E’ la memoria che deve essere preservata, sapere chi eravamo prima di imboccare la strada del come saremo.
L’ago della bilancia è dunque fissato sul punto di equilibrio: dei trentadue artisti esposti, sedici sono storici, sedici digitali. I rimandi al come eravamo sono nobilissimi. La sezione architettura, nelle prime sale, sfodera uno accanto all’alto Piranesi e Andrea Pozzo. Il primo con un’incisione della serie “Carceri”, un ferrigno alternarsi di scale-arcate-capriate claustrofobiche come ci apparirebbero in un incubo; l’altro con il bozzetto della finta cupola di Sant’Ignazio, illusionistico e virtuoso gioco prospettico che peraltro il visitatore può vedere dal vivo entrando nella chiesa proprio alle spalle di Palazzo Cipolla. E che dire delle geometrie di Escher, capaci di generare città capovolte, come in “Planetoide tetraedrico”? E dell’imbuto labirintico a scacchi creato da Pier Augusto Breccia, un cardiochirurgo che a quarant’anni ha scoperto la vocazione per l’arte ed è uscito per sempre dalle sale operatorie?
Dentro un altro labirinto ci conduce invece Fabio Giampietro con Paolo Di Giacomo, e qui la rassegna si fa immersiva: il visitatore sale su un’altalena, si lascia dondolare e l’algoritmo lo proietta dentro una sorta di imbuto dove tutto può succedere.
Allo stesso modo, indossando un visore e impugnando un manubrio si immerge nel Bronx, grazie alla realtà aumentata di Krista Kim: scompaginando e rifacendo urbanisticamente, in un utopistico progetto rigenerativo, edifici e strade. Che invece sono un intersecarsi colorato e astratto nell’opera sistemata accanto, una “città” geometrica di Vasarely.
Anche Fortunato Depero, e siamo nel Futurismo, ha dipinto con “Simultaneità metropolitana” una New York intricata e vorticosa. Al contrario del silenzio innaturale di “Piazza d’Italia con Arianna” firmata da Giorgio De Chirico. Ma lassù nel cielo ci sono anche le levitanti figure barocche di Carlo Maratti, che gioca iperbolicamente con la prospettiva nel bozzetto per la “Allegoria della Clemenza”.
E poi il mistero dei corpi. Si trasforma dinamico quello di Boccioni nel geniale bronzo “Forme uniche della continuità nello spazio”. E capita anche ai volti di Klingemann: il quale ha “assemblato” digitalmente migliaia di ritratti e poi li ha “centrifugati” con il risultato che chi guarda si trova di fronte una trasformazione impercettibile e continua, un increspare di labbra, un modificarsi di fronte, di occhi, di naso che genera sempre nuovi personaggi. Nella sala attigua, tutta nera, l’idea di Alex Braga: un pianoforte suona da solo e scheletri danzano sulle pareti: sennonché sono la “trasfigurazione” del visitatore, mentre si muove da un punto all’altro dell’ambiente.
Non si salva neanche la poesia: Sacha Stiles rielabora con l’Intelligenza Artificiale i versi di Saffo. “Eco e Narciso” di Giulio Paolini appaiono collocati a una distanza siderale dalle sottili linee nere stese ortogonalmente nel quadro.
Invece è esuberante la natura di Refik Anadol. Ma col trucco del “cocktail” di 70 milioni di immagini floreali estrae dal magma di dati un continuum di coloratissime visioni. Il Gruppo Fuse crea da sei video un’opera site specific con una serie di universi paralleli: l’idea è che ognuno di noi vive in uno proprio e unico, generato dalla personale esperienza. L’ultima sezione è dedicata ai videogame, gli antenati del metaverso, e non può mancare Ugo Nespolo. Anche il gioco si fa principalmente da soli, davanti a un computer.
Ecco il più inquietante dei risvolti di un futuro così: si vive nella solitudine della propria stanza, in una sorta di smart working totalizzante e asettico, di eterno lockdown che avvolge l’artista e il fruitore della sua opera. Né sudore, né pennelli, né bulino, né dita o fiato su uno strumento.
Ma il futuro bussa tanto vigoroso da non poter essere ignorato: “Ipotesi metaverso”, inaugurata il 5 aprile, ha già calamitato diecimila persone, in specie giovani, in specie straniere
Ma il futuro bussa tanto vigoroso da non poter essere ignorato: “Ipotesi metaverso”, inaugurata il 5 aprile, ha già calamitato diecimila persone, in specie giovani, in specie straniere. Un favore destinato ad aumentare nelle prossime settimane, dicono le prenotazioni e il boom di turisti.
Nei week end le file alla biglietteria non si esauriscono entro l’orario di chiusura, chi non ha acquistato il ticket in anticipo rischia di non entrare, anche a causa della sosta di quanti sperimentano l’altalena inventata da Giampietro o i visori sul Bronx di Krista Kim. “Le parole dei visitatori più ricorrenti su Facebook sono sorpresa e meraviglia”, sottolinea Simongini. Il quale però nel suo saggio in catalogo (Drago Editore) non dimentica, tra le altre, di citare una frase dal film di Spielberg “Ready Player One (2018): “La gente deve passare più tempo nella vita reale”.
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