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24 ottobre 2023
di Lidia Lombardi 

Il volo e Margherita

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Fa un doppio salto Margherita Buy, pluripremiata interprete: firma la regia di un film (è l’anno delle attrici passate dietro la macchina da presa) e affronta un ruolo brillante. E va subito detto che vince entrambe la nuove sfide. Perché “Volare” ha convinto critica e pubblico alla Festa del Cinema (in anteprima oggi nella sezione Grand Public, ma uscirà nelle sale nel 2024, con la distribuzione Fandango).

Una commedia. Il soggetto – della stessa Buy e di Doariana Leondeff, che firmano anche la sceneggiatura insieme con Antonio Leotti – è lineare: Annabì è un’affermata attrice, beniamina del pubblico televisivo per una serie sulle peripezie di una valorosa esponente della Guardia di Finanza, ma potrebbe diventare una star internazionale se solo vincesse la paura di volare. Tanto l’attanaglia la fobia degli aerei (la stessa sempre provata da Buy) che se ne scappa dal jet che sta per decollare alla volta della Corea, dove l’aspetta un regista di grido. Non solo: ora che la figlia si iscrive ad un corso universitario in California, Annabì – divisa dal marito - ritiene improbabile poterla accompagnare. Insomma, l’aviofobia le tarpa occasioni professionali e legami familiari. E suscita l’irritazione della sua agente, una spregiudicata Anna Bonaiuto, e il compatimento della figlia (cui dà il volto proprio la figlia di Buy, Caterina De Angelis) e dell’ex marito, quasi quasi soddisfatti di eliminare gli intralci che lei, nevrotica, procurerebbe.

Catapultata dalla agente-sergente sul set della quinta stagione della serie, che ormai l’annoia,  Annabì decide di frequentare un corso all’aeroporto di Fiumicino riservato appunto a quanti – e sono tanti – temono di affrontare l’aria. Due giorni di full immersion guidati da una psicologa e da un avio comandante. La “classe” è formata da tipi assai diversi, dalla casalinga che è anche una sua fans a un allevatore di mucche, da un critico cinematografico a un commerciante mollato dalla moglie straniera proprio a ridosso del viaggio di nozze all’altro capo del mondo. La cura di Annabì prevede anche sedute psicoanalitiche assai improbabili, perché il medico è il suo anziano padre, che fa le parole crociate mentre lei racconta i suoi malesseri stesa sul lettino. Ma nonostante l’impegno, questa protagonista insicura e ondivaga non riesce a venirne fuori. L’epilogo coinvolge coralmente tutti i “compagni” di corso antifobia, e regala  ulteriori sorrisi allo spettatore, sulle note, un po’ scontate ancorché sornione, di “Nel blu dipinto di blu”.

Però tutta la pellicola offre spunti per risate. E lo fa grazie a un dialogo scoppiettante, a battute sapide e divertenti, che tutti gli interpreti – Giulia Michelini, Euridice Axen, Francesco Colella, Roberto De Francesco, Maurizio Donadoni, Pietro Ragusa con la partecipazione di Franco De Francovich – scambiano con la protagonista, senza mai concedere tempi morti. Così, all’agente che le rimprovera di aver rinunciato al film nell’estremo Oriente, che l’avrebbe incoronata come eccellenza italiana, Annabì replica “e mica sono il parmigiano”. Oppure alla figlia che le consiglia “devi trovarti un uomo”, risponde d’istinto ”ma perché, poverino?”.

La commedia non diventa mai farsa, anzi lascia spazio a qualche momento melanconico, come quando muore di colpo il papà e Annabì se lo immagina nella bella campagna toscana. E apre spiragli a certi sassolini che Buy si leva dalla scarpa: contro la supponenza dei critici cinematografici, contro l’invasione dei coreani (“non sai di che cosa sono capaci quando si arrabbiano”, le suggerisce Bonaiuto), sul fiele che corre sotterraneo con le rivali sul set. E qui è azzeccato il “duetto” con Elena Sofia Ricci, l’attrice subito chiamata a rimpiazzarla, in Corea, e con un ruolo di rilievo nella nuova stagione della fiction. Tutto per colpa di quegli aerei-mostri, che agli occhi di Annabì appaiono come fumosi e lividi ventri di balena, carlinghe simili a prigioni, da raggiungere dopo essersi infilati nel tunnel claustrofobico. Come in un incubo ricorrente, pur se “benedetto” dalla statua di Leonardo da Vinci, che campeggia – inquietante agli occhi dei protagonisti fifoni - all’aeroporto di Fiumicino, dove è ambientata buona parte del film.

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