I diari del Cashmere
L’avorio dei fiocchi ancora grezzi, i cieli sterminati, il paesaggio aspro e inospitale, i colori sgargianti delle popolazioni locali, abitanti di Mongolia e Cina Interna. Il lavoro nel Cashmere comporta un lato appassionante e avventuroso che non si sospetta, dice Alberto Rossi, fondatore di Artigiani del Cashmere, mostrando i diari di viaggio della sua tenace attività aziendale: “Avvengono incontri umani straordinari. Molte di queste popolazioni sono nomadi, conducono vite impensabili per noi. Vivono e allevano le loro capre a temperature glaciali, fino a sette ore di viaggio da Ulan Bator, capitale della Mongolia, o nella regione di Alashan, nel nord della Cina. Proprio da qui arriva il fiocco più fine e lungo.”
Dal famoso polo laniero di Biella, incuneato tra monti e colline, boschi e ruscelli, al solitario deserto del Gobi, il passo è breve e lunghissimo al tempo stesso. La materia prima alla base dell’eccellenza italiana compie lunghi viaggi, tra fascinazione e ciniche regole di mercato. Secolarmente votato all’arte della filatura, nel distretto parole come lane australiane e neozelandesi, pelo di cammello, alpaca, vigogna, mohair sono parte del linguaggio quotidiano.
“La mia famiglia ha un passato nel settore, ma io ho scelto di dedicarmi al cashmere, che ha un portato di emozione particolare. Nel 2013 ho creato Artigiani del Cashmere mettendo insieme almeno una decina di professionalità di altissimo valore. Il nostro business model è basato sulla collaborazione anziché sull'internalizzazione. Tra fiocco e prodotto finito esistono almeno una decina di passaggi, che curiamo in modo maniacale: filatura, tintura, orditura, tessitura, finissaggio, rammendo, frangitura. Internalizzare significherebbe rinunciare in qualche modo all’ eccezionalità e unicità del prodotto, oltre che esporsi ai rischi della ciclicità di mercato. Il distretto di Biella rimane performante ma ha chiuso il 2023 in calo del 3,4% rispetto allo stesso trimestre del 2022.”
A pensarci bene, l’Hyrcus Blyti, la capra del Cashmere, è anche simbolo di resilienza del settore, oltre che l’animale che produce la materia prima. “Sopravvive a -40 °C durante i sei mesi invernali grazie al sotto-vello di cashmere, essenziale strato protettivo. Ecco perché questa lana ha proprietà uniche. La fibra viene raccolta “pettinando” l’animale in primavera, tra aprile e giugno, quando fa la muta. E’ in quel periodo che viaggio. Gli allevatori vendono la fibra ai “raccoglitori” che preparano il lotto di cashmere. La fibra poi è venduta agli ejarratori, che si occupano di lavarla ed ejarrarla, cioè rimuovere parti più grossolane. E’ con loro che si tratta il prezzo.”
Difficile descrivere i segreti del mestiere, fatto di intuito, relazione e un pizzico di fortuna. “Quando si parte verso l'Oriente, bisogna armarsi di pazienza, dimenticare l’orologio e prepararsi a regole non scritte nelle trattative. Spesso si discute a cena tra fiumi di Moutai, simile alla nostra grappa.” E a regolare un mercato molto instabile contribuiscono molti fattori.
“Variazioni climatiche, ad esempio, o un mutamento della domanda-offerta, ma anche le imprevedibili speculazioni cinesi. Basta l’ingresso di pochi grossi player a cambiare le carte in tavola. Inoltre, il cashmere è commerciato in dollari, se il cambio si alza lo paghiamo di più. Oggi al chilo la fibra costa circa 160 dollari, il filato 220 euro. Per questo dobbiamo sempre giocare d’anticipo, preparare scorte annuali per reggere le fluttuazioni e mantenere i prezzi il più possibile stabili per il consumatore finale.”
Non mancano, infine, cambiamenti nelle abitudini sociali: “Oggi si acquistano sempre meno abiti su misura, ai giovani non interessano più. Noi vendiamo molto online all’estero, dagli USA alla Cina passando per l’Europa, anche prodotti di interior design, come coperte e plaid. Abbiamo pure una linea per lo Yachting, per gli armatori e i designer più esigenti, a cui proponiamo complementi tecnici in cashmere appositamente studiati per l'utilizzo in barca. Ci rivolgiamo ad una clientela di nicchia estremamente selettiva. Per questo mi sento di lanciare un appello.
Il distretto di Biella va tutelato, siamo disposti ad acquisire quote della filiera produttiva pur di salvaguardarla. Ho già comprato in comodato d’uso alcuni macchinari per la tessitura affinché la qualità resti quella garantita oggi. I distretti del Cashmere di Francia e Scozia sono già spariti, non possiamo rischiare la stessa fine.”
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