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28 giugno 2024
di Lidia Lombardi

"Maraviglia Girandola" a Castel Sant'Angelo

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Roma capoccia del mondo intero. Ancora una volta, nella notte di sabato 29 giugno, festa dei Santi Patroni Pietro e Paolo. Alle 21,30 gente di tutto il mondo starà con il naso all’insù, davanti alla mole di Castel Sant’Angelo, il Tevere che scorre sotto, il Cupolone che protegge a sinistra. Avviene “la Maraviglia”, il turbinare improvviso di botti, musica, luci, colori, una fiamma guizzante e sempre diversa dagli spalti merlati del Mausoleo di Adriano. Eccola, la Girandola, il virtuosistico spettacolo pirotecnico che è cardine della storia della Capitale,  si innesta nelle tradizioni, racconta entusiasmi popolari e ideazioni scientifiche e artistiche.

Sono pochi anni che La Girandola - definita “Maraviglia del tempo”dallo scrittore francese Jérome de Lalande in un libro sul suo viaggio in Italia nel 1765-1766 – è tornata a emulsionare l’entusiasmo di romani e non a conclusione della festa patronale. Precisamente dal 2006, allorché la resuscitò il Gruppo IX Invicta, trovando il sostegno di Federico Mollicone, allora presidente della Commissione Cultura del Comune di Roma, oggi presidente della Commissione VII Cultura Scienza e Istruzione della Camera. Cento anni di oblio: a inizio XX secolo, nella Roma laicizzata dai Savoia, la travolgente tradizione dei fuochi d’artificio dall’alto di Castel Sant’Angelo si era pian piano interrotta, sostituita dalla Festa dello Statuto, di genesi sabauda.

 

 

Ma come era nata, come ha influito sull’ispirazione di artisti e di poeti, sullo studio di artificieri e chimici e quanto ha influenzato l’immaginario collettivo lo racconta una bella mostra appena inaugurata appunto alla Mole Adriana, intitolata appunto “La meraviglia del tempo. La Girandola e l’arte pirotecnica a Castel Sant’Angelo” (fino al 29 settembre prossimo). Sono esposti quaranta pezzi – dalle bombarde ai libri scientifici, dalle incisioni ai dipinti, ai documenti, ai sonetti, alle fotografie – usciti dai depositi del Museo di Castel Sant’Angelo: un’emersione che è anche un omaggio e un riferimento alla mole di opere che si conservano con cura in tutta Italia ma non si riesce ad esporre permanentemente: “Cinque milioni”, ha quantificato alla presentazione della mostra Massimo Osanna, Direttore Generale dei Musei.

 

Dunque, la vicenda della Girandola. L’antefatto risale all’anno 590. Roma era flagellata dalla peste e papa Gregorio Magno guidò una processione per chiederne la fine. All’improvviso, mentre il corteo si avvicinava a quello che era chiamato Ponte Elio, una luce abbagliante si sprigionò sulla sommità del Mausoleo di Adriano. Al centro comparve l’arcangelo guerriero Michele: riponeva nel fodero la spada, a simboleggiare la fine della guerra pandemica che ammorbava Roma. Da allora la Mole cambiò nome, divenne Castel Sant’Angelo: sulla vetta si issò la scultura dell’Arcangelo e una teoria di angeli venne sistemata sul ponte sopra il Tevere che collegava il maniero al rione. Ponte Sant’Angelo, il nuovo nome, che sostituì Ponte Elio. La devozione e il ricordo del miracolo che era avvenuto in agosto si ripeterono ogni anno. Fino a quando, il 9 agosto del 1481, un altro grande papa, Sisto IV  (1471-1484) in occasione del decimo anno di pontificato istituì l’usanza dello spettacolo pirotecnico della Girandola in memoria della prodigiosa luce irradiata dalla visione celeste. Erano gli anni nei quali Roma si tuffava nello splendore del Rinascimento, testimoniato da monumenti (in primis la Cappella Sistina), innovazioni urbanistiche, commissioni ai maggiori artisti del tempo. Che si occuparono anche dell’apparato iconografico e delle macchine per la festa della Girandola, a partire da Michelangelo, e continuando nel barocco del Bernini fino al Novecento con l’architetto Gioacchino Ersoch e il pittore Renzo Vespignani. I primi si esercitarono anche nei cosiddetti apparati effimeri, utilizzati principalmente per occultare le macchine che venivano accese al fine di avviare lo spettacolo pirotecnico. Erano destinati a essere distrutti dopo la festa, ma dovevano essere costruiti con materiali durevoli, capaci di resistere alla combustione di ore e di generare spettacolari effetti.

Gli altri grandi protagonisti della Girandola erano i bombardieri pontifici di Castel Sant’Angelo. Erano artiglieri con cognizioni di balistica, nei secoli affinatisi grazie a studi chimici, per ottenere gli effetti cromatici più disparati dall’arancio al blu cobalto, all’azzurro, al rosso fuoco, al bianco accecante. Una sapienza sfilacciatasi nel tempo e recuperata recentemente dall’architetto Giuseppe Passeri, ideatore e promotore della riproposizione dei tradizionali spettacoli pirotecnici. Gli ci è voluto uno studio “matto e disperatissimo” alla ricerca di antichi manuali, come il libro sugli spettacoli pirotecnici con gli aquiloni o il trattato cinquecentesco in 12 volumi “De re  metallica”; mentre, ha ricordato, negli archivi vaticani ha rinvenuto i diari dei maestri di cerimonie dei papi Giulio II e Leone X, pignoli nel descrivere i particolari degli allestimenti. Fino al recupero dei documenti sulla “candela romana”, che poneva su ogni asse un fuoco d’artificio, a creare un effetto “a vulcano”, “una rivoluzione che unì architetti, scenografi, fuochisti, carpentieri”.

 

 

 

Nella mostra l’epopea della Girandola si snoda in quattro sale nel cuore medievale della fortezza, abbellite da stucchi e marmi scolpiti. Si comincia con l’apparizione dell’Angelo a Gregorio Magno, copia da Alessandro Salimbeni: in primo piano il papa inginocchiato a ridosso del ponte dove giacciono appestati esangui, madri disperate con il bambino in grembo.  Si prosegue tra l’altro con il dipinto della Scuola del Domenichino che raffigura Santa Barbara, la protettrice dei fuochisti, dei minatori e dei marinai, riproposta anche in una pala d’altare del Cavalier d’Arpino nella chiesa di Santa Maria in Traspontina, dove i bombardieri si riunivano in preghiera prima dei fuochi d’artificio. E poi gli strumenti come l’accendiesca, il provino da polvere, il buttafuoco in acciaio, l’astuccio per la pietra focaia, le granate, le batterie pirotecniche in legno. Le acqueforti e acquetinte, che giocano sulla maestria del bianco/nero per rendere il bagliore della Girandola, sono firmate anche da Francesco Piranesi (figlio di Giovan Battista, re degli incisori), da Giuseppe Vasi, da Cooke, dal fiammingo Van Aelst.

 

Offrono spunti per la ricerca alcuni dipinti, oltre a restituire la magia della Girandola, con i suoi riflessi corruschi nelle acque del Tevere, solcate dalle barche degli spettatori. Così un olio su tela datato 1620, “Veduta frontale di Castel Sant’Angelo con la Girandola” è appena stato attribuito al fiammingo Willem van Nieuland, detto Guglielmo Terranova, dal professor Claudio Strinati, che ha presieduto il comitato scientifico della mostra - ideata da Eva Antulov - con Michele Rak e Sandro Bari e il sostegno di Enel Italia. A Strinati abbiamo chiesto qual è l’opera dell’esposizione che più lo affascina. “Il dipinto di Giuseppe Fidanza, esemplare per la luce che riesce a restituire”, ci dice. E’ un’opera (del 1787) restaurata ad hoc, che pone in primo piano Castel Sant’Angelo con la folgore in cima e al lato la Cupola di San Pietro, quasi benedicente insieme alla luna che appare in uno squarcio delle nuvole. Osserva ancora Strinati, che è protagonista di un video a chiusura dell’esposizione: “La Girandola è confluenza di cultura popolare e alta, opera di arte astratta con i suoi bagliori, luce, suoni. Suscita estasi di fronte alla Bellezza. Chi la guarda entra in essa divenendo egli stesso creatore dell’evento”.

Per questo, anticipano Strinati e Mollicone, è in procinto di avviarsi l’iter per candidarla come patrimonio culturale immateriale dell’Unesco.

 

 

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