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17 dicembre 2024
di Fabio Di Chio

Roma celeste

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C’è una Roma “celeste” e “misteriosa”. Si scopre seguendo un itinerario particolare che si snoda fra tanti siti e bellezze della Capitale. Elencare tutte le meraviglie della Città Eterna richiederebbe lo spazio necessario che serve all’accuratezza accademica. Questa mappa, invece, è breve e col gusto dell’essenziale. Gli splendori sono evidenti ma occorre fare una premessa. Le espressioni artistiche andrebbero ammirate con gli occhi di ieri e non di oggi, con lo sguardo dei geni che le hanno realizzate rivolgendosi al Cielo e sentendosi abitanti di un’epoca in cui l’invisibile spiegava il visibile: vita, morte e aldilà. Allora la Scienza ancora non si faceva.

 

Questa introduzione sembra le istruzioni per l’uso dell’evento religioso che si apre il 24 dicembre prossimo. Papa Francesco spalancherà la Porta Santa in Vaticano inaugurando il Giubileo 2025 e dando il via a una serie di celebrazioni religiose che termineranno dodici mesi dopo. Per la Vigilia di Natale il Comune di Roma prevede la presenza di 65 mila pellegrini (dal calendario giubilare provvisorio del Dipartimento Protezione civile). “Il Giubileo – spiega il Vaticano – è un anno speciale di grazia in cui la Chiesa cattolica offre ai fedeli la possibilità di chiedere l’indulgenza plenaria, cioè la remissione dei peccati, per sé stessi o per parenti defunti”.

 

Dopo la Porta Santa di San Pietro, nei giorni successivi lo stesso rito si ripeterà anche nelle altre “principali basiliche maggiori di Roma: San Giovanni in Laterano, San Paolo fuori le Mura e Santa Maria Maggiore”, tutte chiese edificate nel IV-V secolo d.C. Questi non sono gli unici edifici sacri tirati su in quel tempo. La città possiede tesori d’arte che, unendoli l’uno all’altro, tratteggiano il volto di Roma Celeste e misteriosa nel senso teologico della parola mistero: “Verità soprannaturale comunicata mediante rivelazione divina”, riferisce il dizionario Treccani. E la rivelazione è l’arte; il bello mostra il divino, scriveva il filosofo francese Jean Hani (1917-2012) – professore di civiltà e letteratura greca all’Università di Amiens, in Francia – nel suo libro “Il simbolismo del tempio cristiano”.

 

 

Prima fermata del viaggio è il Campidoglio, o colle Capitolino. Tra le altre cose, lì si trovava la triade divina cara ai Romani (Giove, Minerva e Giunone). Ma in quel luogo – tra storia e tradizione – si può dire che è scoccato il primo giorno dell’era cristiana che avrebbe dato anima e corpo all’Occidente. Racconta la leggenda che mentre Ottaviano Augusto (27 a.C.-14 d.C.) andava a consultare la Sibilla, tra le nuvole vide la Madonna col Bimbo che gli disse: “Ecco l’altare del Figlio di Dio”. Davvero un tempismo che ha del soprannaturale: quando l’imperatore regnava, Cristo nasceva.

 

La seconda tappa collegata è l’Arco di Malborghetto sulla via Flaminia, vicino Roma. Qui, nel 312 d.C. il generale Costantino si accampò con le sue truppe, deciso allo scontro finale con l’avversario Massenzio per la conquista dello scettro. Prima della celebre battaglia di Ponte Milvio, nella notte tra il 27 e il 28 ottobre si tramanda che il condottiero romano ebbe la visione di un simbolo – le iniziali greche X e P, ovvero “XPISTOS” (Christós) – percependo una voce che gli diceva di mostrarlo sugli scudi dei suoi soldati e assicurandogli: In hoc signo vinces, sotto questo segno vincerai. Così fu. Salito al trono, l’anno dopo Costantino il Grande firmò l’editto col quale venne estesa la libertà di culto in tutto il regno, si tolsero le catene al cristianesimo che, nel 380, divenne religione dell’impero. Una tale rivoluzione politico-religiosa andava celebrata in maniera monumentale.

 

L’omaggio fu la basilica di San Giovanni in Laterano. E, al contempo, fu messa la prima pietra delle basilica di San Pietro, San Paolo fuori le Mura e delle altre chiese del primo cristianesimo. Se l’imperatore cattolico è stato un grande, sua madre Elena (poi canonizzata) è stata la detective di Dio. Come una Indiana Jones dell’antichità, ottantenne è andata in Terrasanta a cercare le prove della crocifissione del Messia e le ha trovate. Gli Ebrei non volevano essere contagiati da luoghi e oggetti impuri, come il Golgota dov’erano stati piantati i legni per il supplizio di Cristo e dei due ladroni, o i relativi accessori di morte. In quei punti Elena scavò, trovò e riportò tutto a Roma.

 

Nell’ufficio reperti (diciamo così) – il Palazzo Sessoriano, casa capitolina della donna e poi inglobata nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme – furono portati vari reperti-reliquie: chiodi, frammenti della croce, parte della tavola “INRI” (iniziali dell’iscrizione latina Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum, Gesù Nazareno Re dei Giudei), zolle di terra gerosolimitana e anche i gradini in marmo della Scala santa (si racconta, della prefettura di Ponzio Pilato a Gerusalemme, che Gesù salì per essere giudicato) e che oggi è nel Pontificio santuario nella chiesa di San Lorenzo in Palatio, davanti al Laterano.

 

E qui comincia la “magia”. Secondo un’interpretazione cristiana dei simboli, alla luce della fede i luoghi mostrano il loro significato sottopelle. Alcune basiliche hanno il proprio: Santa Maria Maggiore rappresenta la Nascita di Cristo, Santa Croce in Gerusalemme la sua Passione, San Giovanni in Laterano la Resurrezione, Santo Stefano Rotondo, al Celio, l’Apocalisse e il Vaticano la Confessione di Pietro, complesso artistico e cuore dell’istituzione ecclesiastica.

 

La prima chiesa è Santa Maria Maggiore, Betlemme di Roma: il corpo di Gesù nel grembo di Maria e la sua venuta al mondo.

Il patimento del Salvatore, com’è stato detto, è espresso da Santa Croce in Gerusalemme. Quindi la Resurrezione raffigurata dal primo battistero cristiano di San Giovanni in Fonte, alle spalle del Laterano. L’edificio ha otto lati: sette sono i giorni della creazione, l’ottavo è quello della rinascita, inizio della nuova era. L’Apocalisse, il Giudizio universale, è Santo Stefano Rotondo, chiesa costruita rispettando le misure indicate nella Rivelazione: “Vidi anche la nuova Gerusalemme… la lunghezza, la larghezza e l’altezza sono uguali… l’angelo ne misurò anche le mura: sono alte 144 braccia…” (Gv, 21,17). Come vuole l’architettura greca, l’interno ha un perimetro circolare. Esprime il tempo della natura: tutto accade e ricomincia all’infinito. Stando alla concezione cristiana, invece, il tempo ha una direzione lineare: Dio agisce sempre ma ci sarà un termine, il giudizio finale.

 

Per completare la pianta astrale della città, tra il 1585-86 Sisto V aprì la strada Felice – via Sistina, dal suo nome – tracciando quasi la costellazione cristiana di Roma: da piazza di Spagna si arriva dritti a Santa Maria Maggiore, da qui al Laterano e quindi a Santa Croce in Gerusalemme. In linea d’aria, di fronte a Trinità dei Monti c’è l’ultima tappa sulla rotta spirituale: piazza San Pietro, il Vaticano, la Confessione di Pietro. Su questi capolavori vanno detti alcuni dettagli.

 

Una volta piazza di Spagna era di Francia, perché il marmo servito per costruirla veniva dalle cave d’Oltralpe e perché Trinità dei Monti è una delle cinque chiese francofone di Roma. E poi ci sono le tre scalinate ad ali di farfalla (inaugurate da Benedetto XIII per il Giubileo del 1725): belle, celeberrime ed emblema della Trinità (Padre, Figlio e Spirito Santo).

Infine, il traguardo: San Pietro. La strada larga che conduce alla basilica è via della Conciliazione (il nome fu una trovata giornalistica) con un duplice significato: celebrare i Patti lateranensi del 1929 tra Santa Sede e Stato italiano e unire sacro e profano, lo spazio benedetto della Chiesa e quello mondano della città, del mondo.

 

La piazza è area vaticana. Dal 1586 al centro svetta un obelisco per tenere lontano i diavoli. Infatti, alla base si può leggere uno scongiuro, un esorcismo che tradotto dal latino dice: “Ecco la croce del Signore, fuggite o schiere nemiche. Il Leone della tribù di Giuda ha vinto”. Si racconta che la frase fu pronunciata dal francescano portoghese noto come sant’Antonio da Padova (1195-1231). Una notte gli apparve in sogno una donna vessata dal demonio alla quale il frate insegnò la formula rituale che avrebbe dovuto recitare. Nella basilica la bellezza è ovunque. I simboli che contano, però, si possono concentrare nella Confessione di Pietro, cioè la sua tomba, e nel monumentale Baldacchino che incornicia l’altare papale, costruiti l’uno sopra all’altra.

 

 

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