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13 dicembre 2024
di Lidia Lombardi 

Eterna bellezza 

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Il dio dai riccioli biondi – il mantello adagiato sulla spalla come una stola, il braccio ancora innervato dalla tensione per la freccia appena scoccata – è tornato nel suo “palcoscenico”: in una delle nicchie del cortile più bello del mondo, quel Cortile Ottagono che ha costituito il nucleo originario dei Musei Vaticani.

È tornato l’Apollo del Belvedere, la statua che stregò Winckelmann. Dopo cinque anni che è rimasto celato dal cantiere del suo restauro (generoso il contributo finanziario dalla Bank of America), un periodo lungo per il mondo assetato di bellezza, intervallato dalla nube oscura della pandemia. C’è voluto tanto tempo per studiare la cura più adatta a preservarlo per sempre, in una eterna giovinezza che ha cancellato la sua fragilità. 

Già, perché la statua che Napoleone si portò a Parigi e che Antonio Canova – il primo dei “soprintendenti” italiani dopo Raffaello, ancorché al servizio di Papa Re – si riprese, era sofferente. Gli esperti del Gabinetto delle Ricerche Scientifiche della Santa Sede se ne accorsero in occasione di una ricognizione sui capolavori del Cortile Ottagono seguita al terremoto dell’Aquila. Rilevarono che il candido marmo scolpito copiando l’originale in bronzo dell’ateniese Leocares (IV secolo avanti Cristo), allorché Roma aveva conquistato la Grecia (Graecia capta ferum victorem cepit, ammise Orazio), quella meraviglia assurta a icona della bellezza classica si muoveva impercettibilmente. Un problema strutturale causato dal suo spostamento per essere stato prestato in una mostra.

“Prima era poggiato alla nicchia che gli fa da sfondo. Venuto meno questo ancoraggio si diede luogo a un’operazione invasiva: l’inserimento di una struttura metallica all’interno della statua per farla stare in piedi senza sostegno”, ha spiegato Guy Devreux, responsabile del Laboratorio di Restauro Materiali Lapidei.

 

Devreux lo ha paragonato all’albero delle vele dell’America’s Cup: una serie di sovrapposizioni di fibra di carbonio che permette un monitoraggio continuo collegato a un sistema di alleggerimento della statua

 

Ecco allora il lungo consulto di specialisti: che hanno ideato un sostegno “dinamico” consistente in un arco che corre dietro la schiena del dio fatto scultura. Devreux lo ha paragonato all’albero delle vele dell’America’s Cup: è costituito da una serie di sovrapposizioni di fibra di carbonio che permette un monitoraggio continuo collegato a un sistema di alleggerimento della statua, gestito non appena i sensori dello spessore di pochi micron installati all’interno misurino spostamenti millesimali della scultura. 

Altro ha conquistato il bell’Apollo tornato più candido che mai. Una mano nuova, per esempio. Perché quella che nel 1532-1533 gli fece Giovanni Angelo Montorsoli (al rinvenimento la statua era mancante) appariva sproporzionata. Un vero sgarbo a un corpo osannato per le sue misure perfette. Ecco allora che si è ricorsi alla “mano di Baia”, un calco trovato negli anni ’50 nell’officina di un copista operante in terra di Partenope e attribuito all’originale bronzeo. Infine, il ritrovamento tra i riccioli di colore violaceo che attesta la preparazione per applicare la foglia d’oro, a dire che quel dio che aveva appena trafitto il serpente Pito, insidia del santuario di Delfi, era di bionda capigliatura. 

 

 

A Roma, come una epifania, era apparso alla fine del Quattrocento sul colle del Viminale, non lontano da quella vigna del Colle Oppio dove venne ritrovato il gruppo del Laocoonte (e infatti via dei Serpenti si chiama così per i rettili che avvolgono, soffocandoli, i figli del gran sacerdote di Poseidone che invano urlò ai troiani Timeo Danaos et dona ferentes). E al pari del Laocoonte se ne invaghì quel cultore della bellezza che era il cardinale Giuliano della Rovere. Il raffinato collezionista, diventato papa col nome di Giulio II, nel 1508 portò i due marmi e altri pregevolissimi in Vaticano, sistemandoli in quel Cortile Ottagono aperto sul Giardino del Belvedere, divenuto così, si diceva in apertura, il nucleo originario dei Musei Vaticani. 

Ma superstar l’Apollo divenne nel Settecento. Winckelmann, entrato nel Cortile Ottagono, fu folgorato dalla sequenza di sculture e sentenziò, riferendosi a tutte ma particolarmente all’Apollo: “Nobile semplicità e quieta grandezza”. Ora, pellegrini di Bellezza, ci inchiniamo davanti a lui, finalmente ritornato. 

 

 

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