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5 marzo 2025
di Susanna Bonini

Movimento verticale

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Viaggiare non è solo raggiungere una destinazione e visitarla. Qualche volta, non sempre, un viaggio può portare a scoperte che marcano indelebilmente una vita. È successo a Fernando Gentilini. Il suo primo viaggio importante non è stato un viaggio qualunque: a vent’anni, con il migliore amico di allora e uno zaino in spalla, si è avventurato nel deserto del Sahara per sei mesi. Lo ha attraversato a piedi, dal Mediterraneo al Golfo di Guinea, scommettendo giorno per giorno sulle sue forze e sulla gentilezza dei viandanti locali che offrivano dei passaggi su mezzi di fortuna. «Soprattutto camionisti, algerini e nigerini», racconta, con la luce che ancora brilla negli occhi. I ricordi di quell’avventura sono nitidi come fossero passati una manciata di mesi. Invece tutto è avvenuto nell’estate del 1983, tempi in cui quelle zone erano ancora tranquille e alla portata di aspiranti Indiana Jones.

 


«Quel viaggio – riprende Gentilini sorridendo – è la ragione per cui ho fatto il diplomatico… Il mio perché». Abiti sportivi, fisico asciutto e scattante Gentilini utilizza il passato per ricordare una brillante carriera tra le feluche in realtà terminata pochi mesi fa. Non ha davvero l’allure del “pensionato”. L’impressione piuttosto è che, quella del diplomatico, sia stata solo una delle sue numerose vite, e forse neppure la più importante, nonostante gli incarichi di grande responsabilità e prestigio via via ricoperti. Docente, scrittore, ricercatore ed esperto di archivi, organizzatore di eventi culturali e viaggiatore incallito, Gentilini oggi ha un’agenda più piena di quando gestiva crisi internazionali a Bruxelles, per il servizio diplomatico europeo.
«Quest’idea di viaggiare, non solo in orizzontale ma sprofondando nel tempo, è sempre stata nelle mie corde. Non mi sono mai accontentato di fotografare luoghi o – come si fa oggi – postare storie su Instagram. Tutte le volte che arrivo in una città sento la voglia di capire come sarebbe stata in una diversa epoca, per esempio 500 anni fa. Invece di fotografarne il presente, insomma, vorrei “fotografarla” nel suo passato. E così inizio un gioco che pratico da quando ho cominciato a viaggiare: mi faccio raccontare quella città dai suoi antichi abitanti per riuscire, attraverso il loro racconto, a penetrare quel luogo in profondità».

 


Da questo gioco abituale e per nulla scontato è nato un libro o, meglio, un particolarissimo Atlante: l’Atlante delle Città Eterne. Itinerari e Voci nell’Europa delle Idee (Baldini+Castoldi, 2025). «Le parole “Atlante” e “Città” – spiega Gentilini – rimandano alla geografia, a una dimensione spaziale. Ma la parola “Eterne” sottende una dimensione temporale. Questo libro, infatti, non si muove tanto nello spazio quanto nel tempo. Nel tempo profondo».
L’aspetto più curioso dell’Atlante è il metodo utilizzato da Gentilini per costruirlo: farsi raccontare 18 città ben conosciute (perché vi ha vissuto, lavorato e viaggiato) dai loro antichi e più celebri abitanti. Scrittori, filosofi, Santi e artisti che Gentilini idealmente intervista o fa intervistare da loro contemponarei. O lascia semplicemente esprimere in forma di monologo. La fotografia che ci consegna non è quella che il lettore si aspetterebbe. Soprattutto, non è quella che un normale viaggiatore potrebbe scattare, perché le sue interviste “impossibili” non parlano di strade, monumenti e scorci iconici. Le città di Gentilini hanno la consistenza delle idee e dei sogni: «Sono città irreali, senza gente in strada né rumori di sottofondo. Sono svuotate di tutto e attraversate solo dalle voci di chi mi parla o di chi sto interrogando», aggiunge. L’operazione che quasi magicamente trasporta il lettore in una dimensione dove passato e futuro non si oppongono più e dove tutto quello che è essenziale, le idee per l’appunto, riemergono in superficie come prova provata della loro contemporaneità. 

 


«In questo libro – chiarisce Gentilini – non c’è un solo argomento affrontato da chi è morto che non sia attualissimo. E l’aspetto più affascinante è che parlano di attualità persone che non sono più con noi da decenni o da secoli. Onestamente, faccio fatica a trovare un tema tra quelli sollevati dai personaggi di questo libro che non continui a produrre i suoi effetti nel mondo contemporaneo». 
A ben leggere sono proprio le idee il fil rouge dei diversi percorsi costruiti dall’autore attorno alle sue città. Dall’idea pagana e cristiana che si respirava nell’antica Roma imperiale di Nerone e Seneca e in quella monastica di San Benedetto, all’idea di femminismo e di intrapresa ingegnosa nella Milano di Leonardo e della principessa Belgiojoso; dalla Parigi romantica e nazionalista di Edith Piaf e Charles de Gaulle, alla Londra vittoriana di Bram Stoker. «Queste città, si trovano tutte nell’Europa allargata di cui parlo, il Continente dove tutto si collega per formare i diversi itinerari del libro: c’è un itinerario Mediterraneo che collega Napoli a Roma, fino al Midi francese di Tolosa e Montségur; un itinerario continentale che da Milano ci porta a Parigi e prosegue fino a Londra; un itinerario al limite dell’area franco-tedesca, che dalle città fiamminghe di Gand e Bruges arriva a Eisenach e Konigsberg, l’attuale Kaliningrad, via Bruxelles mentre l’itinerario balcanico parte dall’impero viennese sparito nel nulla, passa per Sarajevo e Odessa per giungere a Pietroburgo».
«Nel mio libro la contemporaneità traspare ovunque». Un concetto che Gentilini tiene a spiegare proprio con la città di Odessa, porto-chiave sul Mar Nero rivendicato non da oggi da Mosca. «L’idea di Odessa che racconto intervistando Isaac Babel, uno dei suoi più grandi scrittori, è quella di un cosmopolitismo che, dai tempi dei tempi, si è sempre opposto al nazionalismo russo. Odessa, fondata da Caterina II, è sempre stata un caleidoscopio di razze, lingue e culture. Lì anche i cosacchi russi dello zar Alessandro perdevano la loro uniforme, la loro identità. Odessa è sempre stata la città più amata da chi non ne poteva più dell’oppressione statalista e la città più odiata da tutti i fautori del centralismo e del nazionalismo». «Babel, un grande autore cosmopolita – prosegue Gentilini – ci aiuta in realtà a capire quello che sta accadendo oggi, il conflitto tra il nazionalismo e l’apertura internazionale. Il vero conflitto risiede nello scontro tra due idee: i russi bombardano l’idea internazionalista che, in prospettiva, porta la pace, contraria a un’idea nazionalista portatrice di guerra».

 


La postfazione e le note bibliografiche illuminano oltremodo il lettore conducendolo per mano tra le pieghe del poderoso lavoro condotto da Gentilini che nulla lascia al caso. Ogni città è stata scelta in base al vissuto dell’autore e all’idea che vi ha generato. E ogni grande personaggio, intervistato o ascoltato, è scelto perché di quell’idea si è fatto interprete ma anche perché l’autore l’ha studiato negli anni. «Io sono un uomo del ’900», ammette nel tentativo di giustificare il suo amore per lo studio e il suo puntiglio per la ricerca. Doti decisamente contro corrente nell’era dell’Intelligenza Artificiale così come lo è la sua passione per il viaggio verticale che abbandona l’itinerario di superficie per calarsi nei meandri del tempo. A indicargli la strada, del resto, fu uno dei più grandi poeti del ’900, il Nobel Thomas Sterans Eliot. Un grande profeta perché già nel 1943 aveva intuito che presto non sarebbero più esistiti i provinciali in senso geografico, perché tutti sarebbero stati in grado di muoversi e viaggiare ovunque. «Il pericolo vero, intuito da Eliot in tempi non sospetti – osserva – è che diventeremo incapaci di viaggiare nel tempo e quindi resteremo comunque tutti provinciali ma in un’altra dimensione». Questo provincialismo, teme Gentilini, è molto più pericoloso del provincialismo geografico: «Interrompendo il legame col tempo, l’uomo non solo non capirà più il mondo in cui vive, ma non riuscirà neppure più a immaginare il mondo futuro».

 

 

 

 

 

 

 

 

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