Entusiasmo e competenza. Passa da qui la chiave del successo di Piquadro secondo il fondatore e amministratore delegato, Marco Palmieri, che sull’onda dei buoni risultati dell’azienda nel bilancio dell’esercizio 2021-2022 (chiuso positivamente in termini di vendite e utile) ha deciso di condividerli con chi tra i suoi dipendenti non ha in contratto incentivi legati ai dati economici. Parliamo di 76 tra operai, magazzinieri e impiegati, che riceveranno presto un mese di stipendio in più. “Se un’azienda va particolarmente bene, e noi lo scorso esercizio siamo andati molto bene – dice Palmieri - e se c’è un’inflazione conclamata all’8% e forse percepita anche più alta e gli stipendi sono fermi, inevitabilmente si pone un problema di sostenibilità, specialmente per i redditi più bassi. Qui siamo tutti giustamente impegnati – e noi per primi – a fare progetti sulla sostenibilità ambientale, ma se non si pensa alla sostenibilità sociale non si va lontano”.
E Palmieri è uno che di strada ne ha fatta. Trasformando una piccola azienda di Riola di Vergato (Bologna) che produce in conto terzi – era il 1987 - a una delle società che da anni ormai si distingue nel settore della pelletteria Made in Italy. È azzardato dire che la sostenibilità è alla base di una storia imprenditoriale di successo? Non per Piquadro, che ha fatto della sostenibilità il suo biglietto da visita, in Italia e all’estero.
Marco Palmieri è uno che ama la sua terra. Nel 1997 smette di produrre per altri e fonda Piquadro, marchio italiano di prodotti di pelletteria dal design innovativo e dall’alto contenuto tecnologico con un posizionamento ben definito. “Siamo un’azienda nata 25 anni fa producendo in Asia – spiega - poi nel tempo abbiamo riportato tutte le produzioni in Italia, nello stabilimento a Scandicci”.
Oggi Piquadro vende i suoi prodotti (borse, valigie, accessori) in oltre 50 Paesi nel mondo. Ma l’azienda resta radicata tra Firenze e Bologna, dove sorge il quartier generale di Gaggio Montano. È proprio qui, nell’Appennino bolognese, che Palmieri fa un’altra mossa da imprenditore ‘illuminato’. “Un anno fa con alcuni amici abbiamo deciso di rilevare una stazione sciistica a trenta minuti dal nostro quartier generale di Bologna perché chiudeva”, racconta. “Il che voleva dire che 40 maestri di sci dovevano trovare lavoro altrove e qualche altra decina di persone pure. Allora la stazione sciistica l’abbiamo rilevata noi e stiamo cercando di dare continuità e di migliorarla".
La cosa che salta all’occhio – dice con una meritata punta di orgoglio - è che alla fine mettere insieme le competenze imprenditoriali in una struttura che è sempre stata molto piccola e non particolarmente organizzata, ha creato immediatamente una leva straordinaria e la stazione è ripartita. Abbiamo portato un po’ di sana capacità imprenditoriale in una struttura obsoleta e l’anno scorso abbiamo battuto tutti i record d’incasso. Certo è comunque una situazione da cui non vogliamo ricavare denaro – precisa - ma alla fine dell’inverno ci lavoravano un centinaio di persone e una quarantina in estate, e lo abbiamo fatto per lasciare un segno e aiutare la nostra comunità”. Quando il mondo delle imprese si dedicano alla cosa pubblica, è la riflessione, “lo fa con capacità organizzative che sono straordinariamente superiori a quelle che le piccole realtà locali hanno e da subito se ne traggono vantaggi enormi per l’intera comunità”.
Di iniziative simili in 25 anni Piquadro ne ha fatte tante (basti pensare alla Fondazione Famiglia Palmieri a favore dei disabili). In epoca Covid, ad esempio, quando tutta l’Italia era tappata in casa a smanettare con i computer (chi per lavoro, chi per studio), l’azienda di Marco Palmieri ha permesso a 70 studenti di seguire le lezioni in Dad. “Abbiamo monitorato nella nostra valle con l’aiuto dei presidi delle scuole – ricorda il ceo - quante famiglie non avevano la possibilità di seguire la didattica a distanza perché non avevano in casa un pc e una connessione. Ne abbiamo trovate 70 e abbiamo comprato 70 pc e 70 chiavette di connettività e le abbiamo distribuite alle famiglie che ne avevano bisogno”.
Quando il mondo delle imprese si dedicano alla cosa pubblica lo fa con capacità organizzative che sono straordinariamente superiori a quelle che le piccole realtà locali hanno e da subito se ne traggono vantaggi enormi per l’intera comunità
Firenze e Bologna, dicevamo. Ma Piquadro oggi è molto di più, riprende il filo del discorso Palmieri. “Nel 2016 l’azienda ha comprato The Bridge, che è una storica boutique fiorentina che era in difficoltà e credevamo di poter rilanciare grazie alle nostre competenze industriali e distributive. E così è stato. Al momento dell’acquisizione, The Bridge fatturava circa 20 milioni di euro e ne perdeva quasi tre. Dopo 24 mesi dal nostro ingresso, l’azienda produceva ricavi per circa 27 milioni. Nel 2018, poi, abbiamo comprato dal gruppo Richemont, che è proprietario di Cartier e Montblanc, l’azienda storica parigina Lancel. Anche in questo caso l’abbiamo ristrutturata e riposizionata e tutta la produzione di Lancel, che era sparsa in giro per l’Europa, ora è tutto Made in Italy nel nostro stabilimento di Scandicci. E se quando l’abbiamo acquisita perdeva un sacco di soldi, oggi guadagna: dopo 4 anni nonostante il Covid, nonostante i Gilet gialli e tutti i problemi che abbiamo incontrato, siamo riusciti a riportala in equilibrio. Senza licenziamenti e portando la produzione nel nostro sito fiorentino.
Ma qual è il segreto di Piquadro? “Secondo me sono due i fattori che portano al successo le imprese – risponde pronto Palmieri - l’entusiasmo e la competenza. Ed è la ragione per cui facciamo anche le cose per il sociale: che producono entusiasmo, spirito di corpo e di appartenenza. Bisogna avere il coraggio di dire che queste cose oltre a fare bene alla collettività e alla comunità hanno dei ritorni positivi anche per le aziende. Ed è questo che gli imprenditori devono capire”.
E spiega: “Queste cose si fanno per due motivi. Il primo è un motivo imperscrutabile che si chiama etica: ognuno di noi ha la sua e fa quel che gli pare. L’altro invece è un motivo economico: se io faccio del bene alla mia collettività aggiungo valore alla mia marca. Un valore fatto di prestigio, di senso di appartenenza e di mille altre cose. Quindi, l’etica non la puoi raccontare, perché ognuno ha la sua. Però se l’impresa inizia a capire che c’è un ritorno anche economico, pur se non monetario nell’immediato ma di costruzione del valore economico, l’approccio dell’impresa al bene comunque aumenta. Chiosa dunque: “Agli altri imprenditori io la racconto sempre così: non gli dico ‘usate la vostra etica’, perché non c’è bisogno di dirlo, ma suggerisco: ‘fatelo per un vantaggio della vostra azienda’.
Oggi come oggi sostenibilità fa il paio con innovazione. Palmieri non lascia finire la domanda: “Avendo alle spalle una formazione razionale e ingegneristica abbiamo sempre posto l’accento sulla tecnologia e sull’utilità funzionale del prodotto, sulla razionalità oltre che sull’estetica. Quindi pensiamo e realizziamo tante funzioni d’uso: tasche, taschine, confort di utilizzo”.
L’esempio più attuale? “Adesso stiamo facendo tutte collezioni che hanno elementi di visibilità notturna perché col Covid è aumentata molto la mobilità urbana che non dipende da metro e mezzi pubblici - afferma - si va molto di più in monopattino e in bicicletta, per cui negli zaini abbiamo introdotto dei led, invisibili quando sono spenti, che aiutano a essere visibili di notte. Inoltre la batteria dura tantissimo, così non si ha il problema di ricaricare lo zaino tutte le sere”.
E ancora: “In questo momento storico che il tempo è più fluido e non è più marcato per il lavoratore, stiamo producendo degli zaini che hanno comparti molto separati: uno per le scarpe da jogging ad esempio e l’altro per i documenti, così che lo stesso zaino si può usare per andare al lavoro e per la palestra. Oggi gran parte dell’innovazione passa per l’utilizzo e la considerazione del processo ecologico: dal ricircolo allo smaltimento….”Tutti i nylon che stiamo usando sono riciclati al 100 per cento -sottolinea il ceo - in moltissimi prodotti mettiamo un indicatore di percentuale di riciclato. Tutti dicono ‘questo è un prodotto eco-friendly o green – osserva - ma quanto di questo prodotto è fatto di materiale riciclato? L’1% o il 100 per cento? Perché cambia moltissimo, sia in termini di competenze di sviluppo sia in termini di costi. Per cui noi mettiamo un cartellino che dice PQ Recycled Index, la percentuale di materiale riciclato che compone il prodotto. Se tu hai un 64% di PQ Index – che abbiamo brevettato noi – sai che il 64% di quel prodotto è fatto con materiale riciclato. Ed è un tema di grande rigore e trasparenza”.
Tutti dicono ‘questo è un prodotto eco-friendly o green – osserva - ma quanto di questo prodotto è fatto di materiale riciclato? L’1% o il 100 per cento? Perché cambia moltissimo
L’ultima collezione, che sarà nei negozi a settembre, è ancora un passo avanti: “Abbiamo fatto il conto di quanta Co2 mettiamo nel fare il prodotto – annuncia Palmieri – ad esempio lei compra uno zaino e sa che emette 16,1 chili di Co2, ovvero la produzione implica quella quantità di anidride carbonica emessa nell’atmosfera. E allora noi le proponiamo come compensarli”.
In che modo? “Se è vero che percorrere 350 chilometri per un’auto media significa emettere 16 chili di Co2, lei può auto-compensare il suo zaino semplicemente prendendo il treno per 300 km. Un modo divertente per trasferire la consapevolezza sul consumatore finale di quanto è il suo carbon foot print e di come compensarla, perché altrimenti resta tutto vago”, dice pragmatico. “Un’iniziativa che non cambia il mondo – ammette - ma aiuta a trasferire la percezione e la consapevolezza. Perché il primo attore del consumo è il consumatore finale, che per lo più non ha idea di quanta Co2 produce nella sua routine quotidiana”.